ASSEMBLEA REGIONALE DEL PD, SI E’ INSEDIATO RACITI. LA SINTESI DEL SUO INTERVENTO
Oggi si è insediata l’Assemblea regionale del Pd. Pubblichiamo la sintesi dell’intervento del neo segretario regionale Fausto Raciti.
Assemblea Regionale 23 Marzo 2014. Sintesi dell’intervento del segretario regionale Fausto Raciti.
”Care democratiche e cari democratici, intanto grazie. Grazie a voi e grazie ai nostri militanti, che hanno permesso lo svolgersi della lunga fase congressuale che ci ha portato fino a qui, fino all’assemblea di questa mattina. Grazie a chi, oltre a me, si è candidato, aprendo lo spazio del confronto congressuale e arricchendo il nostro dibattito di idee, storie e contenuti diversi. Senza di loro, in particolare senza il contributo di Giuseppe Lupo e Antonella Monastra, avremmo oggi un partito più povero e più debole.
Come sapete, permettetemi una considerazione personale, ho la responsabilità di guidare questo partito dopo un percorso nazionale che, negli ultimi anni, mi ha portato lontano dalla Sicilia. Questa distanza, che è stata distanza anche dalla storia di contrapposizioni interne di questo partito, mi permette di provare a parlare, quest’oggi, con linguaggio di verità, senza che questo implichi sottintesi o volontà di regolare conti del passato. Ed è dal dovere della verità che vorrei partire: sulla storia recente del nostro partito e sulla condizione, del tutto inedita, che viviamo.
Il nostro partito nasce, in Sicilia, fortemente condizionato dalle scelte di un partito nazionale che ha impostato la costruzione del Pd non come fusione fredda tra partiti, ma addirittura tra correnti. Come luogo di compensazione. Sulla nostra pelle, sulle nostre teste, il Pd è nato non nella logica del matrimonio tra culture politiche diverse e società, ma come patto tra correnti nazionali. È per questo che il Pd è stato, in questi anni, simile ad una nave in balia del mare, per questo è stato un partito debole e diviso. Alla retorica del partito senza correnti si è sovrapposta la realtà di correnti senza partito. A questa nave dobbiamo dare la bussola di un progetto politico e le vele nuove di una struttura organizzativa aperta, democratica, dinamica.
Queste primarie che, nonostante scetticismi e diffusa stanchezza, hanno visto partecipare 73.000 persone, sono state la prima occasione, per questo imperdibile, di costruzione di un percorso del Pd siciliano in autonomia dai verticismi delle correnti nazionali, alla ricerca di un nostro, originale percorso. Credo che questo sia il senso profondo di quell’unità così spesso invocata durante il nostro congresso e così anomala, guardando allo scenario nazionale, perché affonda le radici nella presa di coscienza della necessità assoluta di costruire il Partito democratico in questa regione, completare la più grande opera incompiuta della vita politica regionale. Viviamo infatti un paradosso: siamo la principale forza di governo nazionale, del governo regionale, del governo di tanti comuni, piccoli e grandi di questa regione, ma più in virtù delle geometrie politiche che ci hanno consentito di svolgere un ruolo centrale nei meccanismi politici ma col consenso di un quarto, a volte meno, degli elettori. Come uno strano animale, con il corpo grande ma le gambe troppo sottili. Ecco, il nostro primo problema è quello di irrobustire le gambe.
Con determinazione, forza di volontà, e con tutta la fatica che ciò richiederà. Saremo in grado di farlo se il nostro costante riferimento sarà quel partito che nessuno racconta, ma che pure c’è e che, senza retorica, siamo chiamati a rappresentare: se sapremo restituire ai nostri militanti il partito che gli spetta, come strumento democratico attraverso il quale costruire la partecipazione alle decisioni delle nostra regione e delle nostre città. Saremo in grado di farlo se sapremo restituire autorevolezza ad un partito che è stato lacerato da divisioni profonde e che ha come mai urgenza di iniziare a parlare con voce chiara. Saremo in grado di farlo se insieme sapremo costruire e rappresentare il progetto di una Sicilia più giusta con i suoi figli, più normale, più europea. Troppo spesso diamo la sensazione di un partito che, progressivamente, si è rinchiuso nelle sacche di benessere delle nostre città non riuscendo più a costruire un rapporto con quel pezzo di sicilia che vuole cambiare perché soffre una condizione sociale di insicurezza, impoverimento a volte di marginalità. Attenzione: non invoco retoriche pauperistiche.
Questa condizione investe strati sempre più vasti di quello che una volta avremmo chiamato ceto medio. È a questa fetta sempre più larga di Sicilia che noi dobbiamo offrire una via d’uscita. Viviamo infatti una doppia crisi: quella fatta della aziende che chiudono, dei poli industriali in crisi, delle delocalizzazione, quella insomma del settore privato, storicamente così debole in questa regione ma a maggior ragione così sofferente. E quella del settore pubblico, che ha sopperito attraverso la spesa, molto spesso assistenziale, alla debolezza del settore privato, dando vita ad un modello di gestione della spesa pubblica che si dimostra ogni giorno meno sostenibile, meno ragionevole e meno giusto. Ma il fatto più importante è che siamo chiamati a vivere questo momento da principale partito di governo. È dalla nostra capacità di interpretare questo compito che saremo giudicati, è per questa ragione che c’è tanta attenzione su di noi, su cosa diciamo e in conseguenza facciamo.
La sfida del governo ci mette nell’inedita occasione di sfidare gli anacronismi, le rendite parassitarie, di immaginare un modello di sviluppo diverso per la nostra regione. Quando la sinistra, al governo o all’opposizione, è stata in grado di farsi trovare pronta ha scritto pagine importanti della storia di quest’isola. Oggi questa opportunità si ripropone e sarebbe imperdonabile. Quindici mesi fa un uomo del Partito democratico, Rosario Crocetta, sostenuto da una coalizione inedita sul piano nazionale, figlia di trasformazioni profonde che hanno investito la politica siciliana, ha vinto le elezioni regionali diventando il primo Presidente di centrosinistra eletto direttamente dai cittadini della storia della nostra regione. Ha vinto in un contesto per molti versi inedito. Vorrei infatti che tutti noi, nel nostro agire politico quotidiano, tenessimo sempre a mente che ci confrontiamo con l’occasione del governo della regione in un contesto nel quale più della metà dei siciliani ha deciso di non votare e la restante parte si è divisa tra il movimento 5 stelle, le forze politiche del centrodestra, per quanto divise, e noi. E’per questa ragione che la sfida del governo non può essere vissuta nella logica della normale alternanza tra forze politiche e dell’ordinaria amministrazione.
E’ per questo che non ci è concesso fare sconti a noi stessi ma cercare, con tutte le forze che abbiamo, di fare di questa occasione un momento di svolta nella vita della sicilia. Fortissimi restano i blocchi conservatori dispiegati a tutela dei propri interessi, fortissima la tentazione di fare della nostra autonomia il pretesto per mantenere viva la contraddizione di una regione profondamente diseguale ed ingiusta con i suoi figli non in virtù delle durezze delle cosiddette leggi del mercato, ma di un modello economico nel quale un settore pubblico ipertrofico e spesso governato dalle leggi dell’intermediazione della burocrazia e della politica ha sopperito alla debolezza del settore privato e dell’economia produttiva. In cui il centralismo regionale è stato lo strumento di garanzia di questo sistema. In cui nemmeno l’autonomia regionale sarà sufficiente, se non imbocchiamo la strada giusta, a spegnere la miccia delle tensioni sociali che covano e minacciano continuamente di esplodere. Nel corso dei mesi, infatti, le difficoltà si sono fatte via via più grandi e più evidenti, come più evidente si è fatto il rischio di un isolamento del governo nei confronti di segmenti sempre più larghi della società siciliana: non basterà l’impegno antimafia a mascherare le difficoltà. Serve insomma, senza rinnegare i passi in avanti, pure importanti, di questo primo anno, segnare un momento di svolta profonda nei rapporti con la società siciliana, da un lato, in quello con le altre istituzioni, prima di tutto l’assemblea regionale dall’altro. Non c’è infatti progetto riformatore che possa camminare senza consenso nella società e senza costruire consenso all’interno degli altri spazi istituzionali.
Le fragilità del Partito democratico in questi quindici mesi, hanno trovato corrispondenza nelle debolezze del governo. L’illusione delle correnti di potere fare meglio da se, in un continuo gioco di specchi, la debolezza del Pd, ha trovato un corrispettivo nell’idea del governo del presidente, chiamato dal popolo non ad esprimere e condividere un programma di governo, non ad assumere la responsabilità di indirizzo, ma a sostituire, nei fatti, i partiti e la giunta regionale. Nell’assumerci le nostre responsabilità oggi, però, siamo chiamati, tutti, a dare un contributo diverso. Se questo è stato il problema, la soluzione non può essere né un rimpastino, né la semplice stesura di un documento. La Sicilia ha bisogno di un governo nuovo e di partiti che si facciano fino in fondo carico di garantire il rapporto con le forze sociali e la società siciliana. È questa la sfida di cui dobbiamo essere all’altezza. Dobbiamo costruire insieme alle altre forze che ci hanno accompagnato in questi mesi un nuovo patto di governo che metta al centro il tema dello sviluppo e della programmazione economica e che apra una stagione di riforme volta a cambiare il nostro modello sociale e il nostro modello di spesa. Dobbiamo fino in fondo condividere la responsabilità del governo, del cambiamento e delle riforme, uscendo dalla palude ed assumendo ciascuno le proprie responsabilità. Incontreremo per questa ragione, per i prossimi tre fine settimana, i sindaci del Pd, le associazioni di categoria e le forze produttive, e i coordinatori di circolo del partito democratico.
È con loro che vogliamo discutere dei contenuti della stagione che ci aspetta. È per questa ragione che il governo nuovo non può essere una formula politicista dietro cui nascondere un semplice rimpasto, ma l’occasione di una svolta nella quale anche il Pd è chiamato alla responsabilità di dimostrarsi partito e non sommatoria di correnti. Per questa ragione chiediamo che il Partito democratico partecipi a questa esperienza indicando i propri uomini non nelle segreterie particolari dei singoli deputati ma nei propri organismi dirigenti, assumendo una responsabilità nei confronti del governo, dei propri elettori e di tutti i siciliani. Con la stessa determinazione chiediamo al presidente della regione di convocare le forze politiche della coalizione ed indicare con chiarezza gli obiettivi e le modalità con cui formare un governo nuovo. Non è, per noi, l’occasione per distribuire pagelle e voti ai singoli, ma l’occasione per definire un progetto e una squadra che vincolino i partiti e ci permettano di interloquire con le forze sociali sulla base di un progetto e non sulla base di una permanente logica di scambio. Per affrontare bene questa sfida sarà bene che anche il partito democratico cambi profondamente ed affronti i suoi limiti storici una volta per tutte. Siamo stati, troppo a lungo, un partito bicefalo, con due teste e due culture contrapposte: da un lato la cultura della creazione del consenso personale attraverso un utilizzo distorto della spesa pubblica. Le recenti vicende che hanno colpito alcuni nostri dirigenti, quale che sia l’esito della vicenda giudiziaria in cui auguro loro di dimostrare la propria innocenza, hanno infatti il sapore non di un problema giudiziario ma di un problema politico legato ad un modo di costruzione del consenso clientelare che è fuori dal nostro recinto.
Al capo opposto conviviamo con una cultura che teorizza il rapporto ancillare tra politica e procure, dove la prima accompagna le seconde, uniche detentrici della possibilità di riscatto della nostra terra. Proprio Don Luigi Ciotti ieri, nella giornata del ricordo delle vittime delle mafie, ricordava come “la definizione di antimafia è debole perché nessuno si direbbe mafioso. Occorre che politica faccia la propria parte”. Nella dialettica e nello scontro politico queste due culture si sono contrastate e reciprocamente legittimate appannando la capacità del nostro partito di essere soggetto del cambiamento. Oggi dobbiamo riempire lo spazio vuoto che questo confronto ha lasciato, che è lo spazio delle riforme. Della politica che non delega ma nemmeno si rassegna.
Della Sicilia che non si vuole sedere. Le elezioni europee saranno l’occasione in cui rappresentare questo partito e la sua autonoma capacità di iniziativa. Il partito della questione meridionale, del mediterraneo come dimensione di sviluppo, del socialismo europeo come strumento di liberazione dai vincoli europei che minacciano lo sviluppo.
Questo sarà il senso della proposta del Pd siciliano alle europee con la costruzione di liste che tengano conto delle competenze e della capacità che possiamo esprimere, che coinvolgano tutte le aree del Pd siciliano, che puntino alla maggiore diffusione territoriale possibile, che tengano conto di una adeguata rappresentanza di genere ed in cui sia applicato, in maniera ferma, i criteri di limite dei mandati e di cumulo degli stessi, previsti dallo statuto nazionale. Noi, insomma, non staremo né zitti né fermi. Sentiamo sulle nostre spalle la responsabilità del governo e del cambiamento.
Possiamo segnare una pagina nuova della storia di questa regione e siamo determinai a farlo senza sconti per nessuno, per primi noi stessi. Saremo in grado di farlo solo insieme.