Agrigento Capitale, Francesco come Paolo trova la conversione sulla via di Damasco

AGRIGENTO- Fortunatamente l’esempio di efficacia della via per Damasco trova attualità anche in tempi funesti e attuali come quelli agrigentini in merito alla proclamazione di Agrigento a Capitale Italiana della Cultura. E prendendo in prestito la biblica conversione di Paolo sulla via di Damasco la ribaltiamo su Francesco, non quello di Assisi, ma più (molto, ma molto) modestamente quello di Agrigento che indossa la fascia tricolore di sindaco.

Sotto la mano del buon padre di famiglia del prefetto di Agrigento, Filippo Romano, è accaduto un miracolo degno di essere annoverato quale prova nei processi di beatificazione.

Il peccato mortale della questione è la testardaggine del sindaco Miccihé a imporre lo statuto della fondazione che gestirà progetti e ingenti fondi per Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025. Il
vertice in prefettura è stata proprio la via per Damasco, ispiratrice di una conversione del sindaco Micciché. Conversione tutta da verificare poiché la sua visione è perimetrata all’interno di un recinto di egoismo, duro a esse chetato.

Alla riunione in prefettura, Francesco Miccichè ha mostrato apertura rispetto alla bozza di statuto che è stata bocciata dai gruppi consiliari di opposizione e di maggioranza e non ha ottenuto il «pass» dei revisori contabili. Oltre alla richiesta di modifica da parte della IV Commissione consiliare Bilancio.

Il sindaco Micciché si sarebbe detto pronto a rivedere il testo deliberato dalla giunta
rispetto all’inserimento dell’associazione «MeNo» tra i soci fondatori. Un passaggio avrebbe inoltre
riguardato le procedure di individuazione dei ruoli apicali della fondazione, cioè il direttore generale e
quello esecutivo, con un appello in generale a ricorrere a procedure di selezione pubblica che non
avrebbe trovato d’accordo pienamente il sindaco, che continua a difendere la figura del progettista
Roberto Albergoni e la necessità di inserirlo con una «forzatura blindata» già nel contesto dello
statuto. I paraocchi del sindaco sembrano essere inamovibili. Una forzatura che desta sospetti e che cela la trasparenza tanto auspicata.

Ora la partita sposta in Consiglio comunale. Si riunirà la conferenza dei capigruppo per iniziare
a tracciare gli emendamenti alla bozza dello statuto della Fondazione.
Si dovrà tenere conto, inevitabilmente delle osservazioni del collegio dei revisori contabili che tra le
altre cose hanno rilevato che «la programmazione dell’attività della fondazione fino al 2028
provocherebbe un grande depauperamento dell’ente». Il Comune, attraverso il dirigente del settore
Affari legali, Antonio Insalaco, ha chiesto ai revisori di rivedere la propria posizione e quindi, di non
bocciare lo statuto della fondazione Agrigento 2025.

Nella controdeduzione, l’ente replica così: «Nessun rischio di impoverimento per il Comune di Agrigento può paventarsi per effetto della norma statutaria che subordina la prosecuzione della durata della fondazione alla condizione del persistere delle condizioni economiche e finanziarie
per il raggiungimento degli scopi». Una motivazione frase molto sibillina che può fare presa solo sui creduloni.

Il pomo della discordia è il ruolo dell’associazione culturale «MeNo» che non risulta iscritta
al Registro unico nazionale del terzo settore e, quindi, secondo i revisori, non avrebbe i requisiti.

«Nessuna norma – replica il Comune – esclude la possibilità per le associazioni non iscritte al registro
di ricevere erogazioni da parte di enti pubblici».

Vi è una norma che il sindaco sconosce: quella della trasparenza, dell’ascolto, della condivisione. Del resto, l’ostinato Miccichè non è il padrone del progetto Agrigento Capitale Italiana della Cultura. Qualcuno glielo spieghi anche in forma elementare.

Filippo Cardinale