Agrigento capitale cultura 2025: “Il Ministero  può continuare ad ignorare ciò che sta avvenendo?

DI CALOGERO PUMILIA. Le dimissioni di Roberto Albergoni da direttore della Fondazione Agrigento Capitale italiana della cultura sono una palese dichiarazione di fallimento, personale e dell’intera struttura da lui guidata. Albergoni non ha garantito, come sostiene, “le condizioni per l’attuazione del programma”. Se l’avesse fatto, se fossimo arrivati a questo punto, non sarebbe stato costretto ad abbandonare e principalmente non si starebbe a parlare di un’occasione mancata. Albergoni ha il merito di avere preparato il progetto vincente. E poi la colpa o l’ingenuità di avere accettato un incarico quando già era evidente che non avrebbe potuto svolgere il proprio ruolo utilizzando una struttura efficiente. In effetti era stato tentato di non accettare. Avendolo fatto, con la consapevolezza di ciò che avrebbe trovato, è uno dei responsabili del disastro annunciato. Pochi giorni fa avevamo scritto che occorreva “fermarsi”, che proseguire sarebbe stato un accanimento inutile col rischio di ulteriori danni all’immagine della città. La nostra era una provocazione ma anche un fondato allarme che ha suscitato stizzite reazioni. Le riunioni dell’Osservatorio permanente, anziché un tentativo di dialogo e di collaborazione, sono state viste come inopportune interferenze sull’attività degli “addetti ai lavori”. Quando è facile prevedere ciò che succederà, risulta ancora più odioso ricorrere al banale “l’avevamo detto!”. Avevamo scritto che gli interventi di Schifani erano tardivi, che non avrebbero cambiato il corso della vicenda, che la sostituzione del presidente della Fondazione con una ex funzionaria dello Stato non avrebbe impresso la svolta necessaria nel tempo che restava. Una ottima precedente esperienza professionale non abilita di per sé a gestire un settore del tutto nuovo e specifico, quello dell’organizzazione della cultura. Quella nomina semmai ha reso ancor più evidente la separatezza tra la Fondazione e la città e tra la cultura e la politica. Non si può poi pensare che possa dare risultati utili una sorta di ircocervo, metà del quale resta ad Agrigento senza poteri reali e l’altra metà, quella della sostanza, del finanziamento, viene collocata a Palermo alla presidenza della Regione, che la gestisce attraverso le proprie strutture periferiche. Le dimissioni di Albergoni confermano che soluzioni parziali e approssimative non fermano i processi di destrutturazione, accentuano semmai le fratture. Ed a questo punto? Non è facile indicare una via d’uscita, trovare il modo per salvare ciò che è possibile nei pochi mesi che restano e proseguire oltre il 2025. Tuttavia, provo a dare qualche indicazione, forse superficiale e approssimativa. Bisogna prendere atto che non serve tenere in vita una Fondazione rimasta una scatola vuota, composta da persone perbene ma inadeguate al compito per il quale sono state chiamate. Una Fondazione che, come ho già scritto, ha un patrimonio del tutto inadeguato, priva degli strumenti giuridici necessari per essere davvero “di partecipazione”, in condizione di non poter ricevere contributi finanziari privati, che non è accompagnata da una struttura scientifica, che non ha individuato il percorso fino al 2028. Al punto in cui siamo occorrono soluzioni radicali. Si chiuda la Fondazione. Si revochi per intero la titolarità delle iniziative in capo alla Regione. Si costituisca un comitato scientifico di alto profilo che in pochissimo tempo verifichi quali progetti realizzare per dare un senso a Capitale della cultura e per lasciare un qualche segnale ad Agrigento e al suo territorio. Si utilizzi in pieno l’Ente Parco, del resto l’unica struttura efficiente nel territorio e con una vocazione nel campo della cultura. Si trovi il modo di recuperare alcune delle proposte dei comuni dell’agrigentino, prima sollecitati a partecipare e poi del tutto ignorati. Sono consapevole che potrebbe risultare contraddittorio continuare a chiedere di dar vita a forme di collaborazione con il mondo delle imprese, delle attività commerciali e turistiche, delle associazioni culturali e degli artisti e nello stesso tempo sottrarre a qualche forma di governo locale la gestione dell’evento, ma proprio quello che è capitato in questi due anni rende comprensibile la contraddizione. Si potrà fare ancora qualcosa – e il bando per finanziare le iniziative delle associazioni sarebbe quello principale – ma si deve riconoscere realisticamente che un legame sentimentale non si è voluto far nascere in questi lunghi mesi e si è al contrario fatto di tutto per deludere ogni aspettativa e per diffondere scetticismo nella città. Senza invocare punizioni o imbastire processi sommari si chieda conto, almeno sul piano politico, all’amministrazione comunale delle pesanti responsabilità accumulate in due anni. Ed infine, il ministero della Cultura può continuare ad ignorare ciò che sta avvenendo ad Agrigento? Può non conoscere o non voler conoscere l’esito di un programma dallo stesso ministero esaminato, approvato e finanziato? Non si potrebbe immaginare una iniziativa congiunta con la Regione per evitare un tracollo che inciderebbe sulla credibilità di Agrigento e della Sicilia ma non lascerebbe estraneo il governo nazionale?