MORTO IL SUPER BOSS SIMONE CAPIZZI

E’ deceduto due giorni fa, di morte naturale, il super boss riberese Simone Capizzi. Aveva 76 anni e stava scontando l’ergastolo nel penitenziario di Sassari oltre ad una serie di condanne.  Ieri, alla presenza di una ristretta cerchia di familiari, è stato seppellito nel cimitero di Ribera. I funerali non sono stati consentiti. Simone Capizzi era considerato uno dei più spietati protagonisti della stagione di sangue nella provincia agrigentina.

Prese le redini del comando dopo l’uccisione del boss Carmelo Colletti. Tentò di contendergli la leadership  Salvatore Di Gangi di Sciacca. Di Gangi e Capizzi vennero nominati al vertice della provincia mafiosa di Agrigento dal capo dei capi, Totò Riina, il quale affiancò ai due Antonio Di Caro. Nomina che avvenne nei primi anni del ’90, dopo l’uccisione di Giuseppe Di Caro, già capo provincia, al quale successe Totò Di Gioia. Anche quest’ultimo venne ucciso poco dopo.

Fu allora che Giovanni Brusca venne contattato da Salvatore Di Gangi e Capizzi. Si svolse allora una riunione a Palermo, alla quale parteciparono Salvatore Riina, lo stesso Brusca, Angelo La Barbera, nonché Di Gangi e Capizzi. A conclusione della riunione, Riina diede la reggenza di Agrigento a Di Gangi e Capizzi.

Ma dopo poco tempo dalla nomina, sorsero le liti. Fu Giovanni Brusca a parlare di liti “fra il Di Gangi e il Capizzi per contrasti per la gestione della provincia”. A raccontare dei dissidi tra Capizzi e Di Gangi è stato anche Vincenzo Sinacori che dice di essere stato, senza tuttavia parteciparvi attivamente, ad una riunione, tenutasi nel ’92 a Salemi fra i due “uomini d’onore”, Simone Capizzi e Salvatore Di Gangi, insieme a Leoluca Bagarella e Matteo Messina Denaro.

I contrasti tra Salvatore Di Gangi e Simone Capizzi sarebbero scaturiti dalla gestione dei territori e degli appalti. A spiegare questo aspetto è stato Francesco Geraci, appartenente alla cosca di Castelvetrano. Geraci racconta di avere ospitato, nella gioielleria da lui gestita a Castelvetrano, una riunione di mafia alla quale parteciparono Totò Riina, Salvatore Di Gangi, Simone Capizzi e Giuseppe La Rocca, uomo d’onore di Montevago per discutere sulla risoluzione delle controversie tra il saccense e il riberese.

Lo stesso Geraci racconta di aver più volte accompagnato Matteo Messina Denaro a Ribera per andare a trovare Simone Capizzi nello stand di frutta e verdura da lui gestito. Sia Brusca, che Sinacori e Geraci hanno spiegato che fra il ’91 e il ’92 la provincia di Agrigento era retta da un triumvirato composto da Salvatore Fragapane, Salvatore Di Gangi e dallo stesso Simone Capizzi. Soltanto nel ’93 Fragapane assunse la piena guida della provincia.

Poco prima l’arresto di Totò Riina, dalle intercettazioni ambientali eseguite per l’arresto di Salvatore Di Gangi, gli inquirenti scoprirono che il saccense, vicino a Matteo Messina Denaro, tramava contro il Capizzi. Dopo poco, anche Simone Capizzi, che a sua volta si lamentava del comportamento del Di Gangi, venne arrestato. È stato a questo punto che è prevalso su tutti Antonio Di Caro, che, appoggiandosi ai riberesi forti di uomini d’armi, giunse a sciogliere la famiglia del Di Gangi mentre lo stesso era detenuto. Con l’arresto di Capizzi e Di Gangi, Di Caro divenne, quindi, l’unico referente di Agrigento, pur non avendo mai ricevuto ufficialmente la carica di reggente.