BELICE 51 ANNI: MANCANO STRADE E FOGNE. E C’E’ ANCORA TANTO ETERNIT

Nei Comuni della Valle del Belice, a 51 anni dal terremoto del 1968, non ci sono più baracche, ma ci sono ancora i segni dell’assenza delle istituzioni. Nelle aree abitative realizzate dopo il teremoto, mancano strade e fogne e molti edifici realizzati dopo l’emergenza sono ancora in eternit. I numeri del fabbisogno della Valle del Belice per completare la ricostruzione a 51 anni dal terremoto del 1968, sono sempre quelli fotografati nel 2006 dall’ottava commissione della Camera dei Deputati: 150 milioni di euro per opere pubbliche, 400 milioni di euro per l’edilizia privata, 250 dei quali per aventi diritto. Tredici anni dopo quello che sembrava il confronto decisivo per chiudere una pagina di storia e di inefficienze e cancellare l’etichetta di “cavia” appiccicata per decenni ai Comuni di un territorio che per primo, nell’era moderna, sperimentò cosa significava vivere in aree fragili e senza nessuna prevenzione, nulla è cambiato. Nemmeno l’incontro di un anno fa con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che a Partanna nel corso di una cerimonia commemorativa incontrò tutti i sindaci dei 21 Comuni della Valle del Belice, è servito ad imprimere una svolta decisiva. Eppure, da Poggioreale a Partanna, da Santa Margherita Belice a Gibellina, di sforzi per sanare la vecchia questione della ricostruzione ne hanno fatti tanti.

Nel 2006, i sindaci dell’epoca dissero di no alle opere faraoniche. Chiesero strade, fognature e marciapiedi. Non teatri o chiese, ma opere di urbanizzazione primaria. E ridussero anche le richieste per l’edilizia privata. Nel 2008 il percorso legislativo per attivare le risorse prese il via. Ma poi più nulla. Fino al 2017, quando una commissione parlamentare del Senato trascorse due giorni nella Valle per fare una verifica da cui venne fuori una risoluzione trasmessa al governo dell’epoca. Ma anche quella iniziativa rimase in un cassetto.

Del Belice le autorità di governo si sono ricordati alcuni mesi fa, quando a Roma pensarono di inserire le richieste e le esigenze di questa terra nel famoso “Decreto Genova”, affine come genere di interventi. “Mi chiamarono d’urgenza a Roma per predisporre due emendamenti – ci dice il sindaco di Partanna Nicola Catania, a capo del coordinamento dei sindaci della Valle del Belice – ho collaborato nella stesura degli atti, ma di quegli emendamenti non si è più parlato. Abbiamo suggerito la possibilità di attivare fondi comunitari attraverso la costituzione di un Gruppo di Azione Locale, spero che la nomina di un sottosegretario con delega alla chiusura del nostro “contenzioso”, fatta di recente, possa essere finalmente decisiva”.

Il caso Belice non è circoscritto solo al fabbisogno delle opere pubbliche e private, c’è anche un contorno quasi invisibile, di cui poco si parla.

Nei Comuni a parziale trasferimento come Partanna e Menfi, c’è un immenso patrimonio immobiliare di vecchie case danneggiate e abbandonate dal 1968, che devono essere demolite per mettere in sicurezza il centro urbano. Costi enormi che i Comuni non possono affrontare.

E poi c’è il programma di bonifica ambientale, 10 milioni di euro assegnati dallo Stato ai Comuni per dismettere le grandissime quantità di eternit che ci sono ancora nei centri abitati, accatastate nelle periferie o, come nel caso di Montevago, ancora sui tetti dei villaggi che furono realizzati pochi mesi dopo il terremoto grazie alle donazioni organizzate in tutta Italia e che sono occupati da centinaia di famiglie. Anche in questo percorso di erogazione di somme di denaro tanti ritardi: i progetti di bonifica redatti dai Comuni sono stati rigettati dal Ministero dell’Ambiente. Nessuno aveva detto gli amministratori dei piccoli centri della Valle come dovevano essere fatti. Altro tempo prezioso perso, con tanti sindaci costretti a nominare e pagare tecnici esterni. Oggi i progetti sono di nuovo a Roma, il via libero definitivo dovrebbe arrivare a breve.

Giuseppe Recca