Editoriale di Filippo Cardinale

Sciacca è una città strana. Una caratteristica che il saccense stesso riconosce anche riportando metodicamente  (una città che legge pochissimo ma che memorizza alcune vicende storiche, tuttavia senza conoscere la storia) la faida del tardo medioevo tra i nobili Luna e Perollo. Un riferimento storico che a distanza di secoli viene sempre citato proprio per rinverdire la memoria e non far dimenticare il profilo di una eccessiva ed esasperante rivalità che impera nel perimetro della città.

La città mostra una evidente e preoccupante sofferenza che investe ogni aspetto della vita quotidiana. Dalla politica alla vita pratica di ogni giorno. La politica, certo, non offre un esempio di pacificazione, anzi è un fuoco sempre acceso che alimenta un rancore che sempre più veste il profilo della tensione.

In questi ultimi giorni sono esplose polemiche alimentate e amplificate da un veicolo che assume sempre più la veste di un basso cortile: Facebook. Un mezzo nato come agorà civile ma degradato in libero sfogo di chi immagina che esprimere il proprio pensiero significa offendere la dignità altrui.

Gli ultimi sette giorni trascorsi rappresentano lo spaccato di una parte di città diventata intollerante, che nutre odio, che istiga alla violenza, che alimenta rancore. Gli ultimi sette giorni che hanno sconvolto Sciacca, ribaltandola nella vetrina nazionale in pessimo modo, cominciano con la polemica sul montaggio dei gazebo in occasione del carnevale. Il motivo del contendere è stato l’ancoraggio eseguito sulla fuga della pavimentazione pubblica. E’ esplosa “l’indignazione” sui social network, in modo particolare su Facebook diventato una sorta di mostra fotografica. Una polemica nata mentre i lavori non erano stati terminati e che quindi, ovviamente, presentavano alcune sbavature.

La settimana nera segue con la lettera anonima che denunciava l’irregolarità dei carrelloni sui quali sfilano i carri allegorici. Un tentativo abbastanza evidente dell’odio. Un tentativo mirato a far saltare la sfilata. Un tentativo andato a vuoto grazie alle istituzioni che hanno accertato che i carrelloni appartengono al profilo di “strutture sceniche”.

L’anonimato è la faccia della vigliaccheria, è la faccia di chi non ha faccia e mira a far fallire i sacrifici dei carristi, giusto a pochi giorni dall’inizio del carnevale. La lettera anonima è la rappresentazione di chi non ha il coraggio delle sue azioni e si nasconde, privilegiando il buio. E’ la rappresentazione di chi non vuole metterci la faccia, disposto, invece, a seminare zizzania rimanendo nel buio della vigliaccheria.

Ma non finisce qui. L’inciviltà, l’odio, il disprezzo, l’avanzata di una forte ignoranza mista ad arroganza, seguita con le minacce e le ingiurie al sottoscritto, in qualità direttore del corrieredisciacca.it, perché ha osato pubblicare ciò che da sempre viene pubblicato: previsioni o indiscrezioni sul carro che potrebbe vincere. Telefonata notturna del presidente di una associazione che partecipa con un carro per annunciarmi che “avrebbe preso provvedimenti”. Di fonte all’ignoranza non ho paura, ma pietà per chi dimostra limiti di civiltà ma anche di intelligenza.

Come se non bastasse, ecco che all’apertura delle buste una collega, mentre svolgeva il suo lavoro, viene derubata del portafogli. Ma non basta, alla “festa” per la proclamazione del vincitore avviene ancora un atto di profonda inciviltà. Vengono aspramente attaccati due giurati, due persone conosciute e apprezzate. Una di loro viene selvaggiamente offesa con espressioni omofobe.

La catena delle barbarie continua con la strage dei randagi. Trenta cani avvelenati alla Muciare. Una soluzione degna del più barbaro dei barbari che l’umanità può esprimere.

Ma non finisce qui. Sui Facebook, quel cortile ormai incontrollabile che dà sfogo senza limiti a tutti, con licenza di offendere e minacciare, esplode il barbarismo puro culminato con le minacce al sindaco Francesca Valenti, minacce che coinvolgono anche i figli. I post, degni di finire sul tavolo della Procura della Repubblica (come del resto sono approdati), provengono da tutta Italia. Ovviamente gli imbecilli si moltiplicano e offendono tutta la città e l’immancabile Sicilia.

Sciacca, dopo sette giorni neri, eredita un’emergenza in più che assurge al ruolo di priorità: cova un odio pericoloso, l’istigazione alla violenza, l’intolleranza.

Vi è una ampia fascia di popolazione saccense che guarda la pagliuzza negli occhi altrui, dimenticando di guardare la trave nei propri.  Quella trave che in diversi fanno finta di non notare.

Eppure, sono tanti i casi in cui tale trave è presente. In chi posteggia selvaggiamente utilizzando proprio i luoghi riqualificati. In chi abbandona i rifiuti ingombranti in ogni dove, in chi commette atti di vandalismo, in chi va a mare e poi abbandona in prossimità del mare le bottiglie di plastica usate per lavarsi la sabbia dai piedi. In chi se ne frega di rispettare le regole, quelle più elementari. In chi dell’educazione civica fa carta straccia. In chi parcheggia sugli scivoli per i diversamente abili. La lista potrebbe continuare senza fine.

Sta ad ognuno di noi misurare ciò che facciamo finta di non vedere nei propri occhi. La città, più che mai, necessita di una pacificazione collettiva. Una pacificazione che deve trovare l’esempio soprattutto nella classe politica e dirigente della città, che nel dialogo deve impugnare la sua migliore arma a tutela del confronto civico e democratico.

Concludo citando un passaggio del discorso di insediamento alla Casa Bianca (20 gennaio 1961) del lungimirante Presidente John Fitzgerald Kennedy. Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese (Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country).

E’ l’auspicio che questa frase possa albergare in ognuno di noi, nella consapevolezza che questa città non ha un futuro se non ritrova la bussola che la indirizzi sulla via della ragione.


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