SISMA DEL BELICE: “NELLA NOTTE I BOYS SCOUTS DI SCIACCA RESTARONO SOLI A SCAVARE”

Oggi è giornata di memoria e di cerimonie nei paesi del Belìce devastati dal sisma di 50 anni fa. Quel sisma, quel dolore, quella tragedia, fu vissuta anche dallo “straordinario coraggio che ebbe come protagonisti un manipolo di giovani di Sciacca con il fazzolettone scout al collo”.

Cogliamo la testimonianza suggerita da Antonino Porrello, “gran capo”, degli scout di Sciacca. “Questa splendida azione di volontariato, in tempi in cui la protezione civile non esisteva, venne magistralmente descritta sul settimanale Epoca del 28 gennaio 1968 in un reportage denominato “Quello che i nostri occhi hanno visto” a firma di Pietro Zullino, notissimo giornalista del tempo”.

La quinta pagina di quel reportage aveva un titolo che mette i brividi: Nella notte i boys-scouts restano soli a scavare. “Proviamo- ricorda Porrello- allora a rivivere quei momenti drammatici e il coraggio di quei nostri giovani concittadini ( quando ancora gli scouts si chiamavano boys-scouts ) attraverso il racconto e le parole di Petro Zullino”.

 “ Verso l’alba fu trovata alle porte di Montevago una massa di superstiti in preda a shock. Il primo a giungere sul posto fu il capitano dei carabinieri di Sciacca, Leone… Dopo i carabinieri giungono – sempre da Sciacca – i vigili del fuoco. E quasi contemporaneamente i primi gruppi di boys- scouts guidati dal capo-clan Francesco Cassar. Gli uni e gli altri si muovono con grande efficienza. Mentre i vigili del fuoco operano i primi salvataggi con gli scarsi mezzi che hanno a disposizione, gli scouts si gettano fra le macerie, tendono le orecchie, a percepire i lamenti, tagliano i cavi elettrici e puntano senza esitazioni al recupero dei medicinali della farmacia. Sono fortunati: in due ore, mentre negli uffici di Trapani , Palermo e Agrigento ancora si stenta a capire l’accaduto, questi ragazzi con il fazzolettone scout riescono a rendere disponibile una piccola montagna di farmaci. Ma non possono distribuirla tra i feriti, ci vuole un ordine del prefetto, altrimenti non si può… Gli scouts scalpitano per dodici ore, poi con un colpo di mano si impadroniscono dei medicinali e li nascondono. Ne faranno di nascosto una sommaria distribuzione a feriti che, dimenticati da tutti, gemono tra le macerie di sperduti casolari di campagna. A Montevago come a Gibellina ci sono dei vivi sotto le macerie. Ma non si scava!… Esterrefatti da quel modo di procedere, alcuni volontari civili invocano con ira ruspe e bull-dozers. Ma la prima ruspa arriva soltanto nel pomeriggio e viene usata a casaccio, dove si vede spuntare il piede o la mano di un morto… Cala rapidamente la sera e ci si accorge con terrore che i lavori di scavo dovranno essere sospesi perché mancano riflettori e gruppi elettrogeni. Qualcuno si batte la fronte. Ma è un attimo. Subito subentrano fatalismo e rassegnazione. Nella notte, sulle rovine di Montevago, rimangono soltanto i boys-scouts di Sciacca a picconare con l’aiuto di lampadine tascabili. Lo scenario è di un orrore indicibile, ma quei ragazzi di sedici anni si muovono con un sangue freddo eccezionale. Sentono un lamento, un fiato, un rumore qualsiasi e si gettano a scavare, senza perdere tempo a domandarsi se, invece che una bambino, non sia una capra ferita”…


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *