ELEZIONI, 6 PERSONAGGI IN CERCA DEL CONSENSO

Editoriale di Filippo Cardinale

Saranno sei i candidati a sindaco (Stefano Scaduto a quanto pare è alle prese con la raccolta delle firme, obbligo di legge per la presentazione della lista) per la carica istituzionale più alta del palazzo dei gesuiti, sede del Comune. Lo stesso numero del titolo del famoso dramma di Luigi Pirandello.

Lo stesso numero dei candidati alle elezioni comunali del 2009: Stefano Scaduto, Mario Turturici, Giuseppe Bono, Lucchesi Palli, Vito Bono e Alfredo Ambrosetti. Allora i votanti furono 27.741 a fronte di 35.268 elettori. Gli elettori dell’11 giugno saranno grosso modo uguali, come simile sarà con molta probabilità la cifra dei votanti. Cifre che si sono ripetute anche nel 2012.

Vinse Vito Bono che ebbe 13.767 voti (51.76%. Turturici riportò 8.764 voti (33.10%), seguì Giuseppe Bono con 1.667 voti (6.32%), poi Alfredo Ambrosetti con 1.506 voti (5.63%), Stefano Scaduto 694 voti (2.61%) e Lucchesi Palli 152 (0.58%).

L’effetto immediato che si riverbererà sul palcoscenico dell’11 giugno sarà quello che, quasi con certezza, nessuno dei candidati a sindaco indosserà la fascia tricolore al primo turno. Ricordiamo, a beneficio dei nostri lettori, che per scongiurare il ballottaggio è necessario riportare il 40% dei voti validi.

Considerando 27.700 votanti, per vincere al primo turno bisognerà raccogliere un consenso di almeno 11.080 voti. Il restante 60% dovrebbe essere ripartito tra gli altri 5 candidati. Cioè dovrebbero spartirsi 16.620 voti che divisi in cinque dà una media di 3.324 a candidato sindaco. Appare fin troppo evidente che a calcare il palcoscenico vi sono forze politiche che pesano bel oltre la media appena citata. Dunque, seppur la matematica non lo vieta, la probabilità e il buon senso indicano che si andrà al ballottaggio.

Ma chi andrà al ballottaggio? Qui la risposta è ardua perché contiene insieme la forza dei numeri, ma anche la forte incognita della “rabbia” che cova nell’elettore. Siccome la nuova legge elettorale votata dall’Ars ha ripescato l’effetto “trascinamento” delle liste (il voto per un candidato al consiglio comunale si riflette anche sul sindaco collegato alla lista), matematicamente non è arduo pensare che il candidato sostenuto da un numero elevato di liste ha più probabilità di ottenere un consenso elettorale rispetto a quello spinto da meno liste.

Per essere ancora più chiari, il M5S che partecipa alle elezioni con una sola lista avrebbe, teoricamente, meno possibilità di ottenere una cifra considerevole di voti rispetto ad una coalizione sostenuta da 4/5 liste. Se la matematica non è opinione, appunto dell’opinione, invece, si deve far conto. Un’opinione che indossata la veste della “rabbia”, del “mal di pancia”, può sovvertire ogni più probabile formula matematica.

Inutile nascondersi dietro un dito, questa competizione elettorale deve misurarsi col valore della protesta degli elettori. Cosa che non si è riversata nella competizione del 2012, tanto è vero che la lista dei grillini non raggiunse neanche il quorum necessario per avere un seggio al consiglio comunale. Questo valore non misurabile realmente, ma abbastanza palpabile, sarà l’elemento chiave della competizione elettorale. Un elemento che può incidere in maniera determinante in caso di ballottaggio, zona nella quale l’elettorato non ha più vincoli dei candidati al consiglio comunale e, come una diga, rompe le paratie della diga riversando il voto di protesta contro le forze politiche tradizionali.

Il ballottaggio tra una forza politica che attira la rabbia e una forza tradizionale renderebbe anche vano quel grimaldello della “trattativa” tra le forze che non hanno superato il primo turno. Come è successo a Favara, a Porto Empedocle e nella nordica Torino, le percentuali dell’elettorato in libertà raggiungerebbe percentuali prossime al 70%.

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