PICCOLI PAESI SICILIANI SPARISCONO NELL’INDIFFERENZA DI UN GOVERNO MIOPE. L’ESEMPIO DI CALTABELLOTTA E PAESI LIMITROFI

DI CALOGERO PUMILIA

“E’ sparito il Sud”. Così titola un noto settimanale, riproducendo in copertina una carta geografica dell’Italia che termina con il Lazio. Più giù non c’è nulla. Cristo questa volta non è arrivato neppure ad Eboli ed un terzo del Paese pencola inerte tra l’Europa e il Nord Africa, come un grande deserto culturale, politico, economico e sociale. Le cifre di questa realtà si possono trovare dettagliatamente nel rapporto annuale dello Svimez che ribadisce la desolante caduta delle sei regioni meridionali caratterizzate, chi più chi meno, da una medesima condizione, vissuta come un dato scontato ed irreversibile. Non voglio qui riportare numeri e diagrammi.

Per capire che il Sud, se non è sparito poco ci manca, basta che guardi al mio paese, ovviamente quello che conosco meglio e che riproduce la realtà della nostra zona, con l’eccezione di Sciacca e in parte di Menfi. Caltabellotta è in via di estinzione nel senso più proprio del termine.

In meno di sessant’anni la popolazione si è quasi dimezzata, passando da più di settemila abitanti ai tremilaottocento iscritti nei registri dell’anagrafe ma non tutti residenti e, in cinque anni, tra il penultimo e l’ ultimo censimento, si è ridotta del venti per cento. Nel 2014 i nati sono stati quindici e i morti quarantuno. I giovani, senza prospettive di lavoro, vanno via, attivando un flusso migratorio a differenza del passato senza ritorno e senza le rimesse che, negli anni 60 e 70 contribuirono ad alimentare i consumi e a modificare l’economia .

Si sono estinte quasi del tutto le imprese artigiane e gli esercizi commerciali sono ridotti al lumicino. Intere zone del paese sono deserte e consegnate al degrado. I plessi scolastici risultano sovradimensionati ed alcuni a breve dovranno essere abbandonati.

L’inerzia della Regione che, dopo quindici anni, non ha recepito le norme sul welfare della 328 e non ha riformato le Ipab, sta mettendo a serio rischio la Casa di riposo che assicura un’ottima assistenza agli anziani e l’occupazione a una trentina di lavoratori. Si riducono i dipendenti della forestale man mano che vanno in pensione. E’ ferma l’attività edilizia e bloccati i lavori pubblici.

Si tratta di processi in parte ineludibili, frutto delle epocali trasformazioni dell’economia e in parte il risultato di scelte politiche miopi, dell’abbandono del Sud al suo destino e della straccioneria della sua classe dirigente.

Caltabellotta o Villafranca, o Alessandria o Montevago, emblemi di un Sud che sparisce nell’indifferenza di chi lo governa, dell’intellettualità – quella che rimane – che ha perduto il dono della profezia, della indignazione e della denuncia e in un dolore sordo e rassegnato dei suoi cittadini, Ai nostri tempi, una frase che pronuncio sempre con difficoltà e con buona dose di autoironia, avevamo immaginato di potere affrontare e risolvere la “questione meridionale”.

Per qualche tempo, e solo per qualche tempo, prima che prevalessero gli errori sulle intenzioni, eravamo pure riusciti a restringere la forbice con il Nord. Facevamo convegni, dibattevamo, cercavamo di elaborare proposte. Un tempo leggevamo con avidità la rivista “Nord e Sud”, gli scritti di Sturzo, di Gramsci, di Fortunato, di Rossi-Doria, di Saraceno e di Compagna. Ho il timore che, se chiedo a qualcuno, dei politici si intende, chi siano stati costoro, rischio di metterli nel panico, a guisa delle Iene. Renzi ha preannunciato recentemente la convocazione di “Stati Generali” per il Sud ed ha sostenuto che il “vero problema del Mezzogiorno è la mancanza di politica e non dei soldi”.

Può essere vero. La storia non è tessuta dalle Moire, non è il risultato di un destino ineluttabile, è fatta dagli uomini e può andare in una direzione o nell’altra. Posto che Renzi voglia fare sul serio quale contributo gli verrà dalle forze politiche e dagli amministratori locali? Cosa farà la Regione per passare dall’essere, nelle proporzioni s’intende, il più grande stipendificio d’Europa e il più pesante handicap per lo sviluppo dell’Isola a farsi carico della crescita economica? Che sarebbe, questa si, una autentica, insperata rivoluzione.

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