LA VERA “RIVOLUZIONE” IN SICILIA? UNA DOSE DI MASSICCIA NORMALITA’

I proclami e la retorica servono ad allontanare l’attenzione e l’impegno da piccoli e grandi problemi che, risolti, farebbero del nostro un territorio normale e moderno

Di Calogero Pumilia

Non era necessario impiegare tre anni per partorire le legge numero15 del 4 agosto che istituisce le città metropolitane e i liberi consorzi dei comuni. Bastavano pochi articoli di modifica al testo del 1986 riguardante le provincie regionali. Ma, come spesso succede in questa nostra terra, i proclami più altisonanti si trasformano in bolle evanescenti e scalzano ogni possibilità di pacata riflessione.

Si era partiti con l’obiettivo di ridisegnare totalmente l’assetto dei poteri in Sicilia, di abolire le vecchie provincie e consentire ai comuni di consorziarsi secondo criteri di omogeneità territoriale, storica ed economica per costituire liberi consorzi e di rivedere i rapporti tra essi e la Regione in tema di competenze e naturalmente di risorse finanziarie.

Si voleva dimostrare che, mentre nel resto del Paese si parlava di abolizione delle provincie ipotizzando risparmi mirabolanti sulla spesa pubblica e si restava impigliati nelle difficoltà di una modifica costituzionale, qui in Sicilia si sarebbe fatto tutto in quattro e quattrotto, forti della competenza legislativa e della propensione rivoluzionaria del governo. Già, si voleva fare la rivoluzione e alla fine, dopo tre anni e quattro tornate commissariali,con scelte scientificamente lottizzate, ci si è limitati a fare un giro dell’isolato e a tornare là dove si era partiti con il piglio dei sanculotti.

Alla fine, infatti, tutto o quasi è rimasto come prima. Sono state istituite le tre città metropolitane con un ritardo notevole e le sei restanti provincie sono state ribattezzate liberi consorzi dei comuni con qualche competenza in più e molte risorse in meno. Per qualche anno gli organi istituzionali saranno eletti dai sindaci che tra di loro sceglieranno il presidente e i componenti della giunta ai quali non saranno azzerati i compensi ma ridotti rispetto a prima con qualche decina di migliaia di euro di risparmio in tutto.

Poi, ciascuna provincia, pardon libero consorzio, potrà prevedere l’elezione diretta a suffragio universale del presidente. Determinati ma non troppo nella lotta contro la “casta”, si capisce, quella degli altri e disposti a pattiare tra principi e opportunità. La legge che avrebbe dovuto intervenire a conclusione di un processo di riassetto territoriale tale appunto da rivoluzionare i poteri locali, quasi come un formale richiamo ai proclami iniziali, lascia aperta la possibilità che i comuni si aggreghino per dar vita a nuovi liberi consorzi. Ma probabilmente l’ardore iniziale, quello per intenderci di Sciacca con Castelvetrano etc., è scemato del tutto e non pare ci sia la voglia di imbarcarsi di nuovo in un cicaleccio di scarso valore.

Non si può certo negare che ci sia la necessità di intervenire sugli assetti istituzionali della Sicilia a partire dello Statuto, che ci sia bisogno di porre mano con risolutezza ad una quantità di problemi che paralizzano l’attività della Regione, dei comuni e di tutte le istituzioni pubbliche. Ma ogni volta che si iscrivono in agenda questioni fondamentali esse vengono affrontate con un’insopportabile quantità di retorica e, se arrivano a conclusione, si tratta di soluzioni pasticciate.

La vera “rivoluzione” in Sicilia sarebbe una dose massiccia di normalità. Sarebbe rivoluzionario togliere la monnezza dalle strade ed avere un disegno per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, evitare che i fondi europei tornino a Bruxelles per una insipienza politico- amministrativa che grida vendetta quando si è già raschiato il fondo del barile o costringere i burocrati a lavorare là dove c’è bisogno.

E’ rivoluzionario, una rivoluzione alla quale la politica recalcitrante è stata costretta a partecipare, l’abbattimento delle costruzioni abusive nella Valle dei Templi, per il valore in sé e per far capire che l’illegalità non sempre paga.

Sarebbe rivoluzionario che gli amministratori dell’agrigentino, insieme alla lotta per l’”acqua pubblica”, siano in grado di utilizzare le agevolazioni sulle bollette a favore delle famiglie bisognose.

Sarebbe stata una rivoluzione vera se a Sciacca fossero rimaste aperte le porte delle Terme.

I proclami e la retorica servono ad allontanare l’attenzione e l’impegno da piccoli e grandi problemi che, risolti, farebbero del nostro un territorio normale e moderno.

Archivio Notizie Corriere di Sciacca

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *