MAFIA, ALLARME DELLA DIA. COSCHE AGRIGENTINE IN EVOLUZIONE E NUOVI CAPI

Dopo l’arresto del sambucese Sutera e del palmese Ribisi, le famioglie mafiose non rimangono ferme

L’allarme arriva dalla Direzione investigativa antimafia che nella relazione consegnata al Parlamento e relativa al secondo semestre del 2013 ribadisce come la mafia in provincia di Agrigento “continua a condizionare la cosa pubblica attraverso la corruzione”. Così come ricostruisce il quotidiano La Sicilia a firma di Nino Ravanà, dopo l’arresto di numerosi esponenti delle famiglie mafiose dell’agrigentino, attualmente si è in una fase di ” frenetica trasformazione ai vertici delle cosche”.

Con diversi capifamiglia e boss alla sbarra, alcuni dei quali condannati a lunghi periodi di carcere e isolati al 41 bis, i clan sono infatti <>. Ma le ultime scarcerazioni di vecchi elementi di spicco delle famiglie di Agrigento, Giardina Gallotti, Palma di Montechiaro e Santa Elisabetta, sono segnali che “sembrano propendere verso un periodo ancora da ben decifrare”. Con gli arresti nell’ambito dell’operazione “Nuova Cupola” c’era da ricostruire un nuovo organigramma. Carabinieri e polizia attraverso una serie di indagini avrebbero in mano nuove certezze su come Cosa Nostra agrigentina si sta muovendo in tal senso. Nessuna conferma arriva dagli inquirenti, che sulle questioni riguardanti indagini di mafia, preferiscono mantenere il più stretto riserbo.

Sicuramente non si può pensare che a seguito della cattura del presunto capo provincia Leo Sutera, ritenuto vicino al super boss latitante Matteo Messina Denaro e del presunto capo della famiglia di Agrigento, il palmese Francesco Ribisi e dei suoi “picciotti”, le famiglie mafiose sono rimaste ferme ad aspettare con le mani in mano. Ci sarebbe già stato il passaggio di “consegne” dietro il benestare dei vecchi boss, che ancora oggi “contano” e “decidono”.

Il nuovo capo del mandamento di Agrigento avrebbe avuto l’approvazione dei vertici delle cosche di Santa Elisabetta, Favara, Palma di Montechiaro, Raffadali e Villaseta.

Incontri, riunioni e qualche summit avrebbero rafforzato le cosche, che in momento economico delicato preferiscono fare “tacere” le armi. Basta guerre e morti ammazzati sulle strade. L’interesse maggiore è mettere le mani su grossi lavori. In evoluzione il mandamento di Giardina Gallotti che comprende le famiglie di Porto Empedocle e Siculiana, decimate da una serie di arresti di esponenti di primo piano e della “manovalanza”, ossia gli uomini impiegati dalle cosce per il racket delle estorsioni, gli attentati incendiari e il controllo del territorio per spacciare stupefacenti.

Manca un vero capo su questo territorio dopo gli arresti di Gerlandino Messina, di altri suoi familiari e gregari. L’operazione “Fermi Tutti” porta a riflettere. Allargando il raggio d’azione, in provincia di Agrigento le cosche spiccano per vocazione “globale”. E’ il caso delle famiglie della parte occidentale della provincia agrigentina. Scrive la Dia: “Nonostante il ridimensionamento conseguito ai risultati investigativi Cosa Nostra agrigentina mantiene un ruolo importante nelle gerarchie regionali, occupando anche posizioni di rilievo in ambito nazionale e internazionale con rapporti nel Nord America e connessioni ancora attuali con il ramo canadese della famiglia Rizzut”.

Le risultanze processuali confermano che la principale attività delle famiglie mafiose dell’agrigentino è quella relativa alla richiesta e riscossione del “pizzo” ai danni di imprenditori e piccoli commercianti, quale atto di potere sul territorio. Il denaro viene in parte reinvestito in attività legali, attraverso prestanome, e in parte destinato al sostentamento degli associati e relativi familiari. Le metodiche intimidatorie e le reti di collusioni con pubblici amministratori ed esponenti politici costituiscono un fattore di costante condizionamento che incide sulle decisioni di carattere politico-amministrativo.

Indagini di polizia giudiziaria hanno confermato l’interesse dei sodalizi all’intercettazione di denaro stanziato per la realizzazione di opere pubbliche, che rappresentano per la criminalità organizzata un collaudato sistema di indebita appropriazione di risorse, mediante l’inserimento di imprese mafiose nell’effettuazione dei lavori o l’imposizione di forniture, nonché di richieste estorsive alle società affidatarie.

La Dia si è anche soffermata sull’attuale panorama criminale provinciale, dove un ruolo significativo è investito da gruppi delinquenziali stranieri, in particolare rumeni e nordafricani (egiziani, marocchini e tunisini). Dette componenti criminali con il passare degli anni sono aumentate numericamente ed hanno acquisito margini operativi qualitativamente più elevati, anche in ragione di un’integrazione sempre maggiore nel tessuto socio-criminale mediante lo spaccio di sostanze stupefacenti (tunisini e marocchini), lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina (egiziani e tunisini) ed i furti in abitazione e di rame (rumeni).

Sull’spetto riguardante i reati in provincia di Agrigento ricavati dallo Sdi nel secondo semestre del 2013, fanno registrare una apprezzabile flessione dei danneggiamenti seguiti da incendio a fronte di un aumento delle rapine e furti di cavi di rame. Danneggiamenti a seguito di incendio 110; danneggiamenti vari 80; rapine 75; incendi 19; estorsioni 21, sfruttamento della prostituzione e pornografia minorile 7; associazione per delinquere 6; riciclaggio e impiego di denaro 2.

Archivio Notizie Corriere di Sciacca

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *