COMUNI IN DIFFICOLTA’ ECONOMICHE, ECCO IL DOCUMENTO INTEGRALE DELL’ANCI APPROVATO DAI SINDACI

Questo il documento dell’Anci approvato dai sindaci siciliani.

PREMESSA

La fase di grande difficoltà finanziaria che i Comuni siciliani hanno attraversato, in particolar modo negli ultimi tre anni, appare sempre più come il sintomo evidente di una crisi del sistema delle autonomie locali. Decenni segnati da scelte sbagliate e da inerzia dell’Amministrazione regionale ed, in parte, delle stesse amministrazioni locali su temi fondamentali per lo sviluppo quali la riforma del sistema di smaltimento dei rifiuti, gli Ato idrico, il personale precario uniti all’assenza di investimenti infrastrutturali hanno contribuito a determinare, per molti enti locali, una condizione finanziaria che oggi si presenta come strutturalmente deficitaria. Situazione quest’ultima che è alla base della inarrestabile proliferazione dei Comuni che presentano uno stato di dissesto o di pre-dissesto. D’altro canto rispetto ai rapporti economico-finanziari tra Stato e Regione siciliana (e, conseguentemente, enti locali dell’Isola) “la madre di tutte le riforme”, quella del Federalismo fiscale, mai completamente decollata nel resto d’Italia, non ha visto nessuna attuazione – neanche parziale – nella nostra Regione. Il mancato avvio della trattativa per la chiusura dell’intesa tra Stato e Regione, ai sensi dell’art. 27 della Legge n. 42 del 2009, a lungo richiesto dalla nostra Associazione, ha prodotto l’effetto di rinviare la soluzione di temi essenziali per l’efficienza del sistema pubblico in Sicilia. Lo Stato e la Regione, in questi ultimi anni di gravissima crisi della finanza pubblica, se da un lato non sono riusciti ad affrontare alla radice i problemi che caratterizzano le autonomie locali dall’altro hanno continuato a “scaricare” di fatto parte delle loro difficoltà sul sistema degli enti locali riducendo i trasferimenti, imponendo costi relativi a servizi in precedenza non a carico dei Comuni o determinando un significativo aumento delle aliquote dei tributi locali e del livello locale di pressione fiscale (TARI e TASI). Come testimoniano i dati forniti da IFEL, i Comuni hanno in questi ultimi anni sopportato il peso maggiore della spending review garantendo il contributo più significativo al risanamento della finanza pubblica. Hanno però di conseguenza sopportato un peso eccessivamente alto, che ha determinato, tra gli altri effetti, anche quello di una sostanziale riduzione della loro capacità di effettuare investimenti sul territorio. La drammaticità di tale situazione dipende anche dal fatto che lo sforzo di contenimento della spesa pubblica sostenuto dagli enti locali è stato accompagnato da una crisi economica ed occupazionale del Paese ed, in particolare, della Sicilia, che ha prodotto una progressiva insorgenza di forti tensioni sociali. In tale contesto, gli amministratori locali sono costretti a far fronte ad una realtà particolarmente complessa, caratterizzata dall’aumento delle difficoltà economiche dei cittadini e da una contestuale diminuzione della capacità dei Comuni di offrire servizi (in particolare “servizi sociali”). Pur essendo “responsabili” di fronte alle loro Comunità solamente di una piccola parte della complessiva situazione finanziaria del Paese sono però – visto il loro ruolo di front office delle istituzioni sui territori – chiamati a rispondere del cento per cento dei problemi economici e sociali. A tale riguardo, non può essere sottaciuto il fatto che una delle conseguenze di tale stato di cose è che gli amministratori locali vivono uno stato di fortissima difficoltà non potendo far fronte alla complessità dei problemi che hanno dinnanzi ed essendo esposti, in relazione alle numerose competenze che la legge affida loro, sia a responsabilità di tipo penale, civile, amministrativo e contabile sia ad un sensibile aumento dei rischi per la loro incolumità personale. Ci si trova, probabilmente, dinnanzi ad una crisi complessiva del sistema delle autonomie locali, rispetto alla quale gli enti locali siciliani – anche a causa del particolare status della Regione Siciliana – risultano essere ancora più penalizzati. Siamo in presenza di una situazione che è impossibile superare senza adeguati interventi di riforma da parte dello Stato e della Regione Siciliana. Quest’ultima infatti sia per le riforme istituzionali sia per la regolamentazione di alcuni settori strategici ha piena potestà legislativa e può, di conseguenza, disegnare percorsi di riforma che possano incidere strutturalmente sulle difficoltà finanziarie e sui livelli di efficienza dei servizi offerti a cittadini ed imprese. Rispetto a tutto ciò, la Legge Regionale 24 marzo 2014, n. 8, istitutiva delle città metropolitane e dei liberi consorzi di Comuni, rappresenta probabilmente – anche alla luce dell’approvazione definitiva della riforma Delrio – uno spartiacque epocale. Infatti una riforma della governance del territorio di questa portata, se attuata, potrà avere un impatto decisivo su ogni altro ambito: dai lavoratori precari alla riforma del sistema di smaltimento dei rifiuti, dal funzionamento dei distretti sanitari all’utilizzo dei fondi strutturali. L’attuazione della riforma dell’assetto istituzionale delle autonomie locali dovrebbe rappresentare un elemento fondamentale per superare la crisi delle autonomie siciliane, ma potrebbe anche innescare un ulteriore fattore di destabilizzazione ed incertezza. La questione non è se la legge 8/2014 rappresenti una buona riforma – anche perché sono tante le perplessità che la nostra Associazione ha in più occasioni sollevato – ma se in questa fase sia indispensabile, anche con gli opportuni correttivi, cogliere questa opportunità ed evitare che, al netto dei facili entusiasmi iniziali, si possa restare, ancora una volta, indietro rispetto al percorso di riforme avviato nel resto d’Italia.

RELAZIONI ISTITUZIONALI TRA LA REGIONE SICILIANA E I COMUNI DELL’ISOLA: ISTITUZIONE DEL CAL E RIVISITAZIONE DEL CRAL Prima di entrare nel merito degli altri temi oggetto del presente documento è necessario affrontare la questione di fondo legata alle relazioni istituzionali tra la Regione Siciliana ed i Comuni siciliani. La definizione delle modalità che caratterizzano le relazioni istituzionali rappresenta oggi una pre-condizione affinché ogni percorso di riforma dei settori strategici della politica regionale possa essere credibile ed attuato con la partecipazione attiva degli enti locali. A tale riguardo non è più accettabile che le relazioni tra la Regione ed i Comuni sui temi di interesse reciproco siano impostate sullo stesso livello del confronto con altri enti pubblici per i quali non sia previsto un percorso di investitura democratica. Va osservato infatti che gli Amministratori locali costituiscono l’unico livello di rappresentanza democratica che risponde realmente ed ogni giorno ai cittadini e sono, per tale ragione, anche coloro che possono realmente farsi carico dell’attuazione delle scelte del legislatore regionale. Si rende sempre più necessario il superamento della frammentazione delle consultazioni in ordine a specifici provvedimenti, nonché la disorganicità dei molteplici tavoli e commissioni istituiti per trattare i più svariati atti inerenti le varie materie di interesse degli enti locali. Oggi, più che mai, è necessario istituire il Consiglio delle Autonomie locali (CAL) al fine di individuare una sede unica di confronto istituzionale (alla stregua di quanto avviene in Conferenza Unificata a Roma) dove il sistema delle autonomie locali possa esprimere pareri sui disegni di legge in discussione all’ARS (ci riferiamo a qualcosa di significativamente diverso rispetto alle attuali audizioni), in cui definire linee guida sui diversi temi, sancire intese e concordare percorsi attuativi credibili rispetto alle previsioni delle leggi regionali (che spesso rinviano a decreti del Governo, quando non ad altre leggi). La richiesta di istituzione del CAL è stata più volte avanzata al Governo Crocetta e formalmente ribadita anche in occasione dell’Assemblea dei Comuni siciliani del 7 dicembre 2012, senza esiti. L’impegno dell’Assessore alle Autonomi Locali circa la presentazione di un DDL governativo è stato (fino ad oggi) disatteso e, d’altro canto, il tentativo iniziale di controbilanciare l’assenza del CAL rafforzando il ruolo della Conferenza Regione Autonomie Locali (CRAL) , anche attraverso la previsione di un calendario di sedute annuali, dopo i primi iniziali incontri, non si è concretizzato. E’ opportuno sottolineare come l’esigenza di una sede unica di confronto paritetico tra Regione e Autonomie Locali sia diventata ancora più urgente a seguito dell’approvazione della Legge Regionale 24 marzo 2014, n. 8. Tale riforma ridisegna la governance delle autonomie locali siciliane ed assegna ai Comuni un peso ancora più grande per l’attuazione di ogni processo riformatore, considerando che in prospettiva anche la gestione delle funzioni di area vasta, se pur indirettamente, sarà loro affidata. D’altro canto l’esigenza di un pieno coinvolgimento delle autonomie locali nei processi decisionali che vedranno l’istituzione delle città metropolitane e dei liberi consorzi dovrebbe essere ancor più sentita dalla Regione quale garanzia per una effettiva attuazione delle, ancora in parte generiche, previsioni della Legge n. 8 del 2014. Da ultimo si osserva che con il passare del tempo, considerando il progressivo aggravarsi delle numerose emergenze, la sede di confronto più consona sarà sempre più quella di una vera e propria unità di crisi permanente.

TESTO UNICO DEGLI ENTI LOCALI SICILIANI E FUNZIONE DELL’ASSESSORATO DELLE AUTONOMIE LOCALI Uno degli ambiti in cui si è espressa maggiormente l’Autonomia della Sicilia, quale Regione a Statuto speciale, è stato, da sempre, la “legislazione esclusiva” in materia di enti locali. Nel 2014, dopo oltre un decennio dalla modifica del titolo V della Costituzione italiana e, principalmente, dopo oltre sessanta anni di pratica “autonomista”, è arrivato probabilmente il momento di guardare con pragmatismo e senza ideologismi ai vantaggi ed agli svantaggi di una legislazione differenziata. Coscienti del fatto che l’autonomia affonda le sue radici su fondamentali pagine di storia della nostra Terra e consapevoli del fatto che in alcuni momenti storici alcune scelte del legislatore regionale sono state particolarmente illuminate (elezione diretta dei sindaci), riteniamo oggi che, con riferimento all’Ordinamento degli enti locali, sia arrivato il momento di decidere con chiarezza entro quali limiti sia utile differenziare per i Comuni siciliani regole valide per il resto d’Italia. La nostra idea è che, in particolare negli ultimi anni, la nostra Regione non sia riuscita a tenere il passo con le innovazioni introdotte in ambito nazionale e che, pertanto, la combinazione tra l’”iperattività” del legislatore nazionale (che spesso, anche a causa di continue modifiche delle scelte in precedenza effettuate, è stata di per sé motivo di confusione) e l’inerzia del legislatore regionale sia stata fonte di grande incertezza per l’attività amministrativa dei Comuni (già sobbarcati da una infinità di adempimenti che soprattutto per i piccoli Comuni rappresentano una sfida gravosa). In assenza di una normativa chiara non si ritiene utile il rallentamento (quando non inceppamento) della macchina amministrativa dei Comuni siciliani prodotto dalla necessità – in assenza di circolari interpretative dell’Assessorato delle autonomie locai – di fare ricorso a pareri od a decisioni giudiziali volte a stabilire di volta in volta se rispetto ad una data norma siano prevalenti i profili ordinamentali o quelli legati al “coordinamento della finanza pubblica”. Evidentemente sotto questo profilo è fortemente sentita l’esigenza di un Testo Unico degli enti locali siciliani (e non semplicemente di un testo coordinato) che con chiarezza – dal nostro punto di vista – potrebbe limitarsi a disciplinare esclusivamente le materie per le quali non si applica la normativa nazionale (prevedendo per le altre un rinvio dinamico). E’ di tutta evidenza che un simile intervento legislativo, che avrebbe anche la funzione di “taglia-leggi”, rappresenterebbe un significativo intervento di semplificazione dell’Ordinamento degli enti locali siciliani e darebbe un contributo significativo all’efficacia ed all’efficienza dell’azione amministrativa nelle nostre municipalità. Pensiamo ad uno strumento chiaro e snello che non sia oggetto di “speculazioni filosofiche” dei vari cultori e “feticisti” dell’ordinamento siciliano, ma che rappresenti una bussola per amministratori e funzionari, rendendo anche più trasparenti le ragioni per le quali si ritenga più utile, per determinate materie, distinguere le norme siciliane da quelle nazionali. Il Testo Unico dovrebbe essere accompagnato anche da un ruolo più incisivo dell’Assessorato delle Autonomie Locali, cui dovrebbero essere affidate una diversa funzione strategica e nuove competenze. Più che luogo di controllo (spesso sterile) dell’attività degli enti locali, dovrebbe essere strumento a servizio e tutela dei Comuni anche attraverso la trasformazione dei vari servizi del Dipartimento in funzione di consulenza e supporto nei territori per amministratori ed uffici, assicurando che in ogni ambito delle politica regionale si tenga presente il punto di vista delle autonomie locali. Dovrebbe altresì contribuire alla semplificazione amministrativa con la divulgazione di modelli e circolari interpretative, uniformando, nei limiti dell’autonomia comunale, le procedure e fornendo consulenza ai Comuni per i processi di fusione e di gestione associata dei servizi. L’Assessore delle Autonomie locali, dovrebbe rappresentare un vero e proprio “Garante delle autonomie locali siciliane” all’interno del Governo regionale per assicurare il rispetto delle intese e degli accordi sottoscritti nell’ambito dell’attività del CAL.

ASSETTO ISTITUZIONALE E RIFORMA DELLA GOVERNANCE (REGIONE, COMUNI, CITTA’ METROPOLITANE E ORGANISMI INTERMEDI) Nell’ottica di un riordino generale del sistema delle Autonomie locali una nuova configurazione delle Istituzioni pubbliche non deve essere soltanto una riperimetrazione dei loro confini e dei loro poteri ma un nuovo modello di ordinamento e organizzazione che le trasformi da realtà chiuse in se stesse, separate l’una dall’altra, spesso confliggenti, in sistemi aperti, di tipo collaborativo e cooperativo cambiando così il modo di governare che dovrà essere ispirato al principio di sussidiarietà quale criterio di regolazione dei rapporti tra le Istituzioni pubbliche poste su un piano di pari dignità. Pur essendo favorevoli al superamento delle province attraverso una riorganizzazione territoriale che, nel rispetto delle loro identità, affidi ai Comuni anche la responsabilità della gestione dei servizi di area vasta, per quanto riguarda nello specifico la legge 8/2014, come si è già osservato in precedenza, si tratta di una riforma che necessita di significativi correttivi e sulla quale, stante l’indeterminatezza di alcuni aspetti fondamentali, gravano ancora pesanti incognite. Ad un anno dall’approvazione della Legge Regionale 27 marzo 2013, n. 7 siamo di fronte ad una nuova legge, che, pur disciplinando alcuni aspetti relativi all’organizzazione dei liberi consorzi e delle città metropolitane, affida ad una terza legge la definizione di temi sostanziali dai quali dipende la stessa possibilità che la riforma si realizzi in concreto. In particolare non si conoscono ancora le funzioni che potranno essere esercitate dalle città metropolitane e dai liberi consorzi, non si ha idea di quali saranno le risorse finanziarie ed il patrimonio immobiliare di cui potranno beneficiare i nuovi enti. Non si sa se ed in che termini i liberi consorzi saranno titolari di tributi o se (a differenza di quanto accade attualmente) saranno beneficiari di trasferimenti adeguati, così come non è chiaro come si possa gestire il tema delicatissimo del personale. Vi è poi il problema del territorio delle province dove insistono le città metropolitane. Infatti non è ancora chiaro il rapporto tra le funzioni esercitate dalla città metropolitane in favore dei Comuni ricadenti nell’area metropolitana e le funzioni gestite dal libero consorzio in favore degli altri Comuni ricompresi nel territorio dell’ex provincia (posto che non si verifichino variazioni territoriali). Quest’ultimo aspetto appare tra i più controversi e di più difficile gestione, rappresentando al contempo anche uno degli elementi di maggiore distanza tra la legge regionale e quella nazionale. Pur essendo stata approvata pochi giorni dopo quella siciliana, la Legge 7 aprile 2014, n. 56 “Disposizioni sulle citta’ metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di Comuni” ha già disciplinato tutti gli aspetti che la legge regionale ha rinviato ancora una volta. Sono state infatti stabilite le funzioni affidate alle province e alle città metropolitane e, per quanto riguarda queste ultime, si è previsto che il loro territorio sia interamente rappresentato da quello della ex provincia. E’ solamente attraverso la declinazione delle funzioni e dei servizi gestiti dai liberi consorzi e la determinazione degli aspetti di natura finanziaria e patrimoniale che si possono creare aggregazioni capaci di gestire i servizi in modo efficace ed efficiente. Per tale ragione, pur essendo in presenza di una legge che non ha previsto e non prevede in nessun caso, né un’intesa né alcuna forma di confronto istituzionale con gli enti locali, attraverso la Conferenza Regione-Autonomie locali o l’Anci, riteniamo indispensabile che si ponga rimedio a tale deficit e si realizzi un confronto costante con gli enti locali e l’Associazione che li rappresenta. Per altro verso, la legislazione regionale si dovrà occupare di incentivare (anche se con modalità diverse dal passato) l’associazionismo comunale nella dimensione interna ai liberi consorzi. Esso rappresenta infatti un orizzonte ineludibile per ripensare in forma associata una offerta di servizi per i cittadini e per le imprese in grado di assicurare un contenimento dei costi ed un elevato livello di efficienza.

RAPPORTI ECONOMICO-FINANZIARI TRA FEDERALISMO FISCALE E FONDO DELLE AUTONOMIE LOCALI Più che in passato, oggi vi è la necessità ineludibile di intervenire tempestivamente per evitare che sempre più enti locali siciliani piombino nel baratro del dissesto finanziario e spingano le proprie Comunità in una spirale segnata da assenza di sviluppo economico, carenza di servizi e innalzamento dei tributi locali. La progressiva e drastica riduzione dei trasferimenti statali e regionali agli Enti locali cui si è assistito negli ultimi anni ha determinato pesantissimi effetti sui bilanci comunali e sulla possibilità di erogare servizi essenziali ai cittadini, rendendo sempre più grave la situazione economico-finanziaria dei Comuni, più problematica la tenuta minima del rapporto tra Amministrazioni e Cittadini e, in diversi casi, determinando situazioni di vero e proprio dissesto finanziario. I Comuni, in molti casi, si trovano nella condizione di dovere scegliere se pagare i dipendenti o pagare le imprese e i fornitori ed in alcuni casi non riescono a pagare né gli uni né gli altri. Si è tentato di far fronte a tale situazione incrementando in sede di bilancio le aliquote dei tributi locali ma, loro malgrado, hanno così generato ulteriori difficoltà per i cittadini. Si è passati da difficoltà di spesa legate esclusivamente ai limiti imposti dalle regole previste dal Patto di Stabilità Interno a difficoltà di spesa dovute all’assenza di risorse in cassa o al pieno utilizzo delle scoperture di tesoreria (che producendo interessi rappresentano un ulteriore aggravio per il bilancio). Ciò è stato in parte causato dal fatto che la significativa riduzione delle risorse erogate dalla Regione ai Comuni è stata accompagnata anche dall’assenza di certezze sui tempi di erogazione delle stesse. Tale situazione, come si è già osservato, è il prodotto di mancate scelte della Regione e del perenne “trascinarsi” di problematiche divenute col tempo di sempre più complessa risoluzione (riforma istituzionale, gestione del sistema dei rifiuti e delle acque, lavoratori precari, ecc.). L’incapacità di porre in essere, a tutti i livelli istituzionali, politiche idonee a determinare le condizioni per risparmi strutturali sulla spesa pubblica ha trovato il suo apice probabilmente nella mancata intesa tra Stato e Regione in materia di Federalismo Fiscale (ex art. 27 della Legge 42/2009). Si è trattato di un fatto che ha inciso negativamente sia sulla possibilità di iniziare ad innescare meccanismi di comparazione tra i territori in termini di costo e qualità dei servizi sia sulla capacità di tradurre l’Autonomia siciliana in un duraturo vantaggio di natura finanziaria. Il tentativo avviato con la Legge regionale di Stabilità per il 2014 di intraprendere il percorso della fiscalizzazione dei trasferimenti determinando l’abrogazione del Fondo delle autonomie locali, pur rivestendo ancora un valore meramente simbolico, rappresenta un segnale positivo, che potrà essere tanto più importante quanto maggiore sarà la capacità di introdurre reali meccanismi premiali tra i criteri che sovraintendono il Fondo perequativo comunale. D’altro canto va rilevato come la “Manovra Bis”, varata dal Governo Crocetta, recante le “Variazioni di bilancio di previsione 2014” e le relative modifiche alla “Legge di Stabilità”, preoccupa notevolmente perché, oltre alla previsione di alcuni tagli consistenti non pone rimedio, neppure in parte, alla drastica riduzione del Fondo per gli Investimenti (destinati ai Comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti) operata con la Legge Regionale 28 gennaio 2014, n. 5. Si è trattato di un ulteriore taglio effettuato sulle risorse destinate agli Enti locali, che, anche per la sua consistenza, non appare sostenibile per le Amministrazioni locali. Queste ultime, dovendo subire una decurtazione di oltre 100 milioni di euro, vedranno ancora più compromessa la capacità di realizzare interventi per lo sviluppo del territorio. Si tratta di un taglio di circa il 55% che avrà un forte impatto negativo, anche in considerazione del fatto, che la legge prevede la possibilità di destinare tali risorse al pagamento delle rate di ammortamento dei mutui. I Comuni, ed in particolare quelli che hanno presentato piani di riequilibrio finanziario, non potranno in alcun modo sostenere una ulteriore riduzione delle risorse loro destinate, considerando che essa inciderebbe sulla sostenibilità dei servizi erogati ed, in molti casi, determinerebbe il dissesto finanziario degli Enti. IL PERSONALE PRECARIO NEGLI ENTI LOCALI La problematica della continuità dei contratti dei lavoratori precari andrebbe inquadrata nel più ampio contesto della gestione del personale degli enti locali ed una soluzione andrebbe ricercata conciliando le esigenze dei suddetti lavoratori e l’efficienza della macchina amministrativa. Non può essere sottovalutato il fatto che i lavoratori precari impiegati negli enti locali siciliani rappresentano una imprescindibile risorsa considerato che, nel tempo, hanno assunto ruoli e funzioni di primaria importanza che hanno consentito e consentono tuttora l’erogazione di molteplici servizi di competenza dei Comuni. Tuttavia, secondo l’orientamento progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza costituzionale, non è in particolare sufficiente la semplice circostanza che determinate categorie di dipendenti abbiano prestato attività a tempo determinato presso l’amministrazione né basta la “personale aspettativa degli aspiranti” per adottare misure per la stabilizzazione. Occorrono invece particolari ragioni giustificatrici ricollegabili alla peculiarità delle funzioni che il personale è chiamato a svolgere, in particolare relativamente all’esigenza di consolidare specifiche esperienze professionali maturate all’interno dell’amministrazione, funzionali alle esigenze di buon andamento dell’amministrazione stessa. Sotto altro profilo l’interruzione del rapporto di lavoro da un lato determinerebbe l’insorgenza di gravi disagi economici ed inevitabili tensioni sociali con pesanti ripercussioni sulla tenuta istituzionale e sulla coesione sociale e, dall’altro, favorirebbe l’instaurarsi di contenziosi con la Pubblica Amministrazione. Volendo intraprendere un percorso di stabilizzazione va considerato che la potestà legislativa della nostra Regione, anche se a Statuto speciale, è condizionata dai vincoli finanziari imposti dal legislatore statale e dalla regolamentazione nella materia delle stabilizzazioni dettate dallo stesso legislatore nazionale. Tale problematica, come più volte osservato, rientra a pieno titolo tra quelle che si sono trascinate negli anni senza che sia stata mai immaginata una soluzione organica e senza che la realtà siciliana sia riuscita a trovare una sua soluzione all’interno dei percorsi di stabilizzazione previsti dal legislatore nazionale sin dal 2006. Col passare del tempo semmai la situazione si è aggravata e la stessa proroga dei contratti è divenuta di anno in anno una possibilità sempre più difficile da praticare. A questo deve aggiungersi il fatto che anche l’impegno finanziario della Regione siciliana (che rappresenta condizione indispensabile per ogni percorso) è divenuto sempre meno certo. Si pensi, a tal riguardo, che la Regione in maniera unilaterale e retroattiva, ha effettuato un taglio, a valere sul 2013, ai fondi destinati ai precari degli Enti locali per i quali, ad esercizio contabile chiuso, poteva concretizzarsi il rischio del mancato rispetto degli equilibri di bilancio essendo stati privati di risorse per spese ormai impegnate e non più comprimibili. Nel caso poi degli enti in situazione di pre-dissesto e con il piano di riequilibrio in fase di approvazione, la situazione poteva implicare il rischio di effetti disastrosi sulla valutazione che il Ministero dell’Interno e la Corte dei Conti effettuano su tali documenti. A tutto ciò va aggiunto che la Legge regionale n. 4 del 2013, pubblicata nella Gurs del 23 gennaio 2013, al comma 2 dell’articolo 2 ha disposto che i Comuni utilizzatori del personale con contratto a tempo determinato, stipulato ai sensi della L.r. n. 16/2006 (con finanziamento del 90% a carico della Regione e il 10% a carico dei Comuni) dovranno adottare un piano volto al conseguimento del risparmio strutturale annuo non inferiore al 20% della spesa complessivamente autorizzata per i contratti di lavoro a tempo determinato e parziale, indicando per realizzare ciò modalità che destano forti perplessità. In termini generali, anche in relazione a quanto previsto dall’art. 30 della Legge Regionale 28 gennaio 2014, n. 5, una soluzione di tale problematica non potrà che essere frutto di una sintesi delle esigenze dei lavoratori e di quelle dei Comuni, prevedendo anche il concorso degli altri livelli istituzionali e la partecipazione dei sindacati. Non vi è dubbio che ai fini di un possibile percorso di stabilizzazione sarà anche necessaria una modifica della legislazione nazionale in materia, che pur non comportando oneri a carico del bilancio dello Stato possa prevedere un regime meno rigido per l’assorbimento dei lavoratori precari consentendo alle Pubbliche Amministrazioni, in presenza di soggetti in possesso dei requisiti previsti, di procedere in coerenza con la programmazione del fabbisogno di personale. In una prospettiva di razionalizzazione del sistema, che dovrà necessariamente tenere conto anche delle specifiche esigenze dei singoli enti, il bacino unico deve essere concepito come una occasione per favorire l’inserimento dei lavoratori anche in Comuni diversi. In questo senso bisognerà mediare tra i diritti dei lavoratori e l’esigenza di un inserimento anch’esso in linea con le necessità dei Comuni. Pur tuttavia bisogna avere la consapevolezza che la possibilità della immissione in ruolo dei lavoratori precari viene limitata dalla applicazione di due semplici regole: il requisito della sussistenza effettiva di una scopertura di organico e la sussistenza delle disponibilità finanziarie necessarie. Questo induce a prevedere che le immissioni in ruolo effettive potranno essere in numero assai contenuto rispetto alla platea dei lavoratori precari. Bisognerà inoltre capire se in un’ottica regionale il percorso previsto dalla legge 5 del 2014 debba incrociarsi anche con le previsione della legge regionale istitutiva dei liberi consorzi e delle città metropolitane, in particolare laddove prevede, all’art. 1 comma 5, che “Al fine dell’ottimale allocazione delle risorse, è prevista la interazione funzionale fra le piante organiche dei Comuni appartenenti al libero Consorzio.”.

CANTIERI DI SERVIZIO L’articolo 35 della Legge di Stabilità 2014 della Regione siciliana ha previsto interventi per l’occupazione dei lavoratori utilizzati nei Cantieri di Servizio di cui alla L.r. n. 5/2005 quali misure volte alla fuoriuscita dal bacino dei soggetti già percettori del Reddito Minimo di Inserimento. Con successiva nota prot. n. 5453 del 3 febbraio 2014 l’Assessorato regionale della Famiglia, delle Politiche Sociale e del Lavoro ha diramato apposite disposizioni in merito alla suddetta norma legislativa ed impartito direttive sulla prosecuzione delle attività lavorative per l’annualità in corso. A tal riguardo si riscontrano le seguenti criticità: – le risorse finanziarie previste nel bilancio regionale risultano esigue ai fini della prosecuzione delle attività a fronte della totale copertura finanziaria regionale per gli anni passati. – la norma legislativa non assicura sia nell’immediato che in futuro serenità economica e sociale alle famiglie coinvolte nelle attività del R.M.I. peraltro già provate dall’attuale stato di crisi economica ed occupazionale. – gli operatori in questione fanno parte di quella fascia sociale più povera ed a rischio esistente sul territorio per cui la problematica va affrontata non solo dal punto di vista prettamente economico ma anche sotto l’aspetto relazionale e sociale. – le politiche di lotta alla povertà, nello spirito della L.r. n. 5/2005, devono continuare a perseguire gli obiettivi prefissati al fine di scongiurare fenomeni di devianze sociali. – la sperimentazione del R.M.I. vede coinvolti i capifamiglia consentendo una vera e propria attività lavorativa unica e primaria, una vita economica più dignitosa e, nel contempo, assicurano alla collettività servizi ed interventi utili, quali la cura del verde pubblico, la manutenzione stradale, la sorveglianza degli edifici comunali scolastici e dei beni architettonici, la pulizia straordinaria degli edifici di proprietà comunale, del centro abitato e delle zone periferiche, servizi questi altrimenti non garantiti dagli enti per mancanza di proprio personale dipendente. In termini generali su tale vicenda ci si trova nell’alternativa se garantire ai lavoratori utilizzati nella attività di Cantiere di Servizi di cui alla L.r. n. 5/2005 adeguati trasferimenti regionali necessari per la continua salvaguardia dello stato occupazionale e l’emanazione di norme certe per la sicurezza lavorativa degli operatori o smettere di puntare su interventi spot ed intervenire con riforme che realizzino interventi strutturali.

FUNZIONE DI GOVERNO DI AREA VASTA: GESTIONE DEI RIFIUTI, DELLE ACQUE E DELLA RETE DEL GAS NATURALE Uno degli aspetti su cui si gioca con certezza la riuscita della riforma istituzionale che ha istituito liberi consorzi e città metropolitane e la capacità di aggregare i territori non solamente nell’ottica di una gestione dei servizi in precedenza svolti dalle province, ma per riuscire a vincere la sfida della gestione di alcuni degli aspetti nevralgici del sistema.? Non vi è dubbio che sia la riforma dei rifiuti che, forse a maggior ragione, quella del sistema delle acque siano state caratterizzate negli ultimi anni da una sostanziale empasse. Da questo punto di vista l’occasione della riforma istituzionale deve servire a rivedere complessivamente il sistema delle acque e dei rifiuti, immaginando anche interventi infrastrutturali da parte della Regione siciliana che possano realizzare le condizioni per un servizio efficiente. Il nuovo assetto della governance non può essere considerato “altro” rispetto ad una risposta ad alcuni annosi problemi della nostra isola. SISTEMA INTEGRATO DEI RIFIUTI In Sicilia il passaggio dai 27 vecchi ATO rifiuti alle nuove SRR è stato sancito, ma solo sulla carta, con la nascita delle 18 Società di regolamentazione dei rifiuti e la nomina dei CdA. Anzi, nella fase di transizione, la situazione è peggiorata: gli ATO sono ancora in vita, sono gestiti da liquidatori e sono ancora competenti ad effettuare la raccolta della spazzatura senza però poterlo fare perché i Comuni non sono nelle condizioni di versare le quote a copertura dei costi. Le conseguenze sono state che i lavoratori non ricevono gli stipendi, che il servizio di raccolta non viene effettuato e, in questo momento di grave crisi economica, si registrano vertiginosi aumenti delle aliquote dei tributi locali. A tal proposito desta forte preoccupazione la IUC (Imposta Unica Comunale) l’imposta introdotta nella Legge di Stabilità 2014 che ingloba tasse e tributi in relazione alla casa, alla produzione di rifiuti, ai servizi comunali indivisibili e che avrà pesanti ripercussioni sui cittadini e soprattutto sulle attività produttive. Si ritiene pertanto necessaria una modifica legislativa che consenta, per l’anno in corso, di continuare ad applicare la Tarsu. Sull’assetto complessivo della gestione del sistema dei rifiuti l’AnciSicilia vuole offrire un contributo su alcune spinose emergenze che affliggono i Comuni siciliani ma ha chiesto anche al Governo regionale quali siano le proprie strategie di azione, con l’obiettivo di rendere partecipi gli Enti locali e capire, nel dettaglio,come avverrà la gestione degli impianti, quali saranno i mezzi, quale la situazione del personale e a quanto ammonteranno i costi delle SRR. Per quanto riguarda le problematiche del Personale pur condividendo la linea operativa che prevede la salvaguardia dei livelli occupazionali, ciò anche al fine di garantire l’espletamento del servizio senza soluzione di continuità, va rilevata l’assenza dei Comuni nell’Accordo Quadro stipulata con le OO.SS. in data 6 agosto 2013. Si rileva inoltre che negli anni trascorsi ai lavoratori precari che sono passati alle Società che hanno gestito il ciclo dei rifiuti hanno ottenuto il privilegio della stabilizzazione e l’applicazione del contratto di Federambiente che di certo è stata una conquista delle Organizzazioni Sindacali, ma ha creato una disparità di trattamento fra dipendenti che pur svolgendo uguali servizi non fruiscono dello stesso trattamento economico. Per quanto concerne le modifiche da apportare alla legge regionale n. 9 del 2010 ed alla legge regionale n. 3 del 2013 in materia del Servizio di gestione Integrata dei Rifiuti si potrebbe prevedere che nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza di cui all’articolo 118 della Costituzione, per i Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti, in forma singola o associata, secondo le modalità di cui all’articolo 30 del Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267, la possibilità di scegliere, in alternativa alle altre modalità di gestione previste dalla legge, di gestire il servizio di spazzamento, raccolta e trasporto dei rifiuti urbani ed assimilabili in forma diretta e/o in economia. I Comuni interessati avrebbero l’obbligo di predisporre un regolamento per l’organizzazione del servizio nonchè un Piano di intervento che deve mettere in evidenza gli elementi tecnici ed economici della gestione del servizio. Il Piano serve anche a dimostrare la sussistenza di caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto comunale e/o intercomunale di riferimento che non consentono un efficace ricorso al marcato e che garantiscono, in ogni caso, l’erogazione di un servizio efficiente, efficace ed economico anche al fine di realizzare dei risparmi economici al fine di diminuire la pressione fiscale per i cittadini. Il Piano dovrà inoltre contenere l’elencazione degli elementi organizzativi idonei per garantire dei risultati ecocompatibili, con la contestuale enunciazione e previsione di adeguate percentuali di raccolta differenziata rispettosa della normativa vigente in materia che onera tutti gli Enti pubblici a raggiungere almeno il 65% di raccolta differenziata. Qualora un Comune o più Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti optino per la gestione diretta del servizio rifiuti, il personale operativo o amministrativo, transitato nelle vecchie società e/o consorzi di gestione in liquidazione, potrà rientrare – su richiesta del Comune o su richiesta del lavoratore – nell’Ente di originaria appartenenza con la conseguente applicazione a questi lavoratori del contratto del comparto Enti locali. Sarebbe utile imprimere una forte accelerazione alle procedure per il passaggio al nuovo sistema di gestione e per l’attuazione del Piano Regionale dei Rifiuti che dovrà prevedere l’individuazione di siti da utilizzare quali discariche, in prossimità dei luoghi di produzione dei rifiuti al fine di contenere le spese e pertanto ridurre la tariffa. A quest’ultimo proposito si potrebbe prevedere, contrariamente all’attuale disciplina che prescrive la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio relativi ai servizi, un parziale intervento finanziario straordinario e transitorio a carico della Regione Siciliana, con trasferimenti vincolati.

GESTIONE DELLE RISORSE IDRICHE Il riordino del sistema idrico in Sicilia arriva con il disegno di legge n. 693/A esitato dalla Commissione Ambiente e Territorio per essere discusso ed approvato dall’Ars. La riforma degli Ato idrici ha subìto una accelerazione dopo il caos che si è venuto a determinare con il fallimento delle Società che si erano aggiudicate le gare d’appalto per gestire il servizio idrico e fognario nei Comuni delle province siciliane e perché la gestione provvisoria sta determinando, nei territori interessati, un aumento evidente e pericoloso della situazione debitoria, già critica, da cui potrebbe derivare un ulteriore rischio concreto di blocco del servizio, il tutto sempre a danno dei cittadini. Il disegno di legge prevede che i Comuni, che hanno consegnato gli impianti ai gestori del servizio idrico integrato, qualora questi ultimi siano dichiarati falliti con sentenza definitiva e con conseguente affidamento della gestione provvisoria ad una curatela fallimentare, su loro esplicita richiesta possono riottenere la gestione diretta del servizio, in forma singola o associata, fino all’entrata in vigore del nuovo testo di legge. E’ facoltà dei Comuni organizzarsi nella forma di liberi consorzi.

SICUREZZA DEL TERRITORIO: ABUSIVISMO EDILIZIO, VALUTAZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO E CULTURA DELLA PREVENZIONE L’abusivismo edilizio e il dissesto idro-geologico sono fattori che contribuiscono in maniera determinante a sconvolgere l’equilibrio del territorio. Tra le cause principali vi è da una parte una diffusa illegalità nella trasformazione del territorio, avendo l’abusivismo edilizio aggredito le coste italiane, gli alvei dei fiumi, i versanti collinari, le aree di subsidenza e di esondazione come individuati dagli strumenti di pianificazione di bacino e, dall’altra, una sostanziale disattenzione delle previsioni degli strumenti urbanistici e di pianificazione infrastrutturale ai temi della prevenzione dei rischi naturali e all’assesto geomorfologico e idrogeologico del territorio.

ABUSIVISMO EDILIZIO La gran parte dei Comuni della Sicilia, in special modo quelli ricadenti vicino la costa, sono caratterizzati da rilevanti fenomeni di abusivismo edilizio che ha costituito un ostacolo oggettivo al dispiegarsi di un corretto assetto urbanistico del territorio, impedendo la regolare pianificazione e la piena governance delle dinamiche di sviluppo e rendendo vana l’attuazione dei programmi urbanistici pubblici istituzionalmente volti a contemperare l’interesse del privato con quello pubblico più generale e, di conseguenza, a tutelare diritti e interessi della collettività nel suo insieme. Il tema è centrale non solo perché il fenomeno è sempre in crescita ma anche perchè ha subito una brusca accelerazione viste le note di diffida ad adempiere alle demolizioni inviate ai Comuni dalla Regione e dalla Procura della Repubblica. Il completamento delle procedure e le esecuzioni delle demolizioni degli immobili abusivi, che bisogna realisticamente affrontare, si manifesta insostenibile per le amministrazioni interessate che sarebbero chiamate a sostenere spese, in taluni casi, di importo multiplo dell’intero bilancio comunale. E certamente non è cosa da poco per la già precaria situazione economico-finanziaria dei Comuni che devono contrarre un debito che tra l’altro influisce sul Patto di Stabilità. Come pure insostenibile risulterebbe l’ipotesi di conservazione del bene con oneri a carico dell’amministrazione e per l’adeguamento dei fabbricati al fine di renderli agibili. Non bisogna sottovalutare inoltre i rilevanti problemi di natura sociale ed i rischi in ordine alla sicurezza pubblica tenuto conto che gli eventi/proclami sul possibile mantenimento del patrimonio edilizio esistente hanno creato uno stato di confusione mista a speranza nei cittadini. Non riuscire a varare una politica di monitoraggio programmata e di prevenzione e senza la destinazione di risorse per monitorare e governare la sicurezza nel territorio accresce la responsabilità sulle spalle di sindaci ed amministratori locali. E’ necessario dunque creare sinergie senza contrapposizioni istituzionali avendo anche la consapevolezza che si tratta di un impegno finanziario che porterà i Comuni interessati alla bancarotta e che tale percorso si sarebbe dovuto intraprendere da parte del Governo regionale dopo avere fatto chiarezza e avviato un riordino della materia, anche scaglionato nel tempo. Appare necessario attuare una adeguata e coordinata azione amministrativa di prevenzione e di repressione dell’abusivismo edilizio e di controllo dell’attività edilizia sul territorio comunale improntata alla tempestività, economicità, trasparenza e correttezza, secondo un piano organico di interventi volti alla tutela ed alla riqualificazione del territorio. Risulta altresì necessaria una attività ricognitiva generale finalizzata a fornire un quadro completo della situazione e nello stesso tempo maggiori e dettagliati elementi riferiti a ciascun abuso per consentire, successivamente di valutare quali e quanti manufatti presentino i requisiti per essere destinati a pubblica utilità e quanti e quali invece debbano inevitabilmente essere sottoposti a procedimento di demolizione. Il tema va dunque affrontato confrontandosi e virtuosamente addivenire alla giusta soppesata conclusione in grado di fornire strumenti normativi per governare il fenomeno ed ottenere l’effettivo e definitivo controllo del territorio.

DISSESTO IDRO-GEOLOGICO Senza ombra di dubbio una efficace politica di prevenzione del dissesto si basa sul concreto e fattivo contrasto all’abusivismo edilizio, utilizzando tutti gli strumenti per la conoscenza, il monitoraggio e la valutazione del fenomeno, già nella disponibilità degli enti locali. Appare ormai evidente la necessità di realizzare una svolta radicale nelle politiche di governo e di trasformazione del territorio affinché non si continui costantemente a rincorrere le emergenze. Un sostegno concreto alle amministrazioni dell’Isola per imparare a difendersi dai rischi di natura ambientale e per diffondere buone prassi amministrative rispetto agli obblighi di legge è costituito dal protocollo d’intesa che l’AnciSicilia ha sottoscritto con l’Ordine regionale dei Geologi di Sicilia. L’accordo intende sviluppare un programma di attività di informazione, educazione e sensibilizzazione nei Comuni e nelle scuole dell’obbligo della Regione Siciliana, sui reali rischi che derivano dalle calamità naturali con la messa a disposizione delle amministrazioni di professionisti altamente qualificati i quali, a titolo gratuito e con le loro competenze tecniche, si occuperanno di portare avanti un progetto condiviso per la conoscenza dei fenomeni e delle cause che comportano rischi di natura geologica e per un’educazione orientata alla cultura della prevenzione. Risulta altresì necessario agire con particolare rapidità e concretezza nel finalizzare l’utilizzo delle risorse attivabili sul Fondo per lo sviluppo e la coesione, in quanto nella programmazione Comunitaria che si sta avviando, possano essere reperite ulteriori risorse necessarie e aggiuntive per la tutela del territorio e dell’ambiente, soprattutto sul fronte della prevenzione dei rischi naturali. Bisogna rivedere le regole del patto di stabilità e consentire agli enti locali di realizzare quelle opere fondamentali e necessarie di manutenzione e consolidamento del territorio, nonché gli interventi di messa in sicurezza statica e strutturale degli edifici, a partire da quelli scolastici, che si può trasformare in una straordinaria occasione per generare investimenti e occupazione. La tutela ed il risanamento idrogeologico del territorio devono quindi costituire priorità strategiche per ridurre i fenomeni di dissesto e garantire le condizioni territoriali indispensabili per la ripresa della crescita economica. La sicurezza territoriale richiede altresì azioni coordinate e sinergiche tra i diversi soggetti istituzionalmente competenti e conseguentemente sono necessarie concertazioni e collaborazioni sul territorio attraverso gli strumenti che la legislazione contempla.

SISTEMA SOCIO – SANITARIO INTEGRATO RETTE RIABILITATIVE Su questa materia si registrano, a partire da gennaio 2013, una serie di interventi dell’Assessorato della Salute che hanno attribuito ai Comuni una serie di costi, che rischiano di aggravare in maniera significativa la già difficilissima situazione finanziaria dei nostri enti locali. Elenchiamo di seguito i decreti dell’assessorato che hanno inciso sulla materia: Decreto del 25 gennaio 2013 “Modifica del punto 10) – Aspetti tariffari – dell’allegato al decreto 24 maggio 2010, concernente indirizzi per la riorganizzazione e il potenziamento della rete regionale di residenzialità per i soggetti fragili”. Pone a carico dei Comuni il 50% del costo complessivo delle rette giornaliere delle prestazioni socio-sanitarie e riabilitative dei soggetti ricoverati in strutture di RSA Decreto 2 settembre 2013 “Compartecipazione ai costi delle prestazioni riabilitative psico-fisiche-sensoriali in regime semiresidenziale e residenziale” . Le ASP dovranno corrispondere per intero, al centro di riabilitazione convenzionato, la retta per le prestazioni sanitarie riabilitative e successivamente le stesse ASP provvederanno a rivalersi nei confronti dei Comuni di residenza dell’assistito per il recupero della quota a carico dell’ente locale. Decreto n. 320 del 5 marzo 2014 “Attività socio-riabilitativa da attuarsi nelle strutture residenziali psichiatriche di cui al Capo L del D.A. 31 gennaio 1997”. Le ASP dovranno corrispondere per intero, al centro di riabilitazione convenzionato, la retta per le prestazioni sanitarie riabilitative e successivamente le stesse ASP provvederanno a rivalersi nei confronti dei Comuni di residenza dell’assistito per il recupero della quota a carico dell’ente locale. Decreto del 17 marzo 2014 “Determinazione delle rette giornaliere per le strutture per l’assistenza a soggetti dipendenti da sostanze d’abuso”. E’ prevista una compartecipazione da parte dei Comuni ai sensi del DPCM 29 novembre 2001. I Comuni siciliani si ritrovano un ulteriore onere a proprio carico che riguarda la compartecipazione al costo delle rette giornaliere delle prestazioni socio-sanitarie riabilitative dei soggetti ricoverati in regime semiresidenziale e residenziale. Tale situazione, che creerà una ulteriore danno alla già precaria situazione economico-finanziaria dei Comuni, rischia di compromettere, ulteriormente, l’erogazione dei servizi alle proprie Comunità. Si passa, in questo modo, da un contributo zero ad un esborso pari a circa il 40% e se consideriamo i 390 Comuni dell’Isola questi costi nel loro insieme ammontano a decine di milioni di euro. Così se da un lato si fanno le battaglie per evitare tagli ai trasferimenti regionali, dall’altro il Governo trova una nuova strada per gravare sui bilanci dei Comuni creando una voragine nei bilanci comunali già disastrati e fino a rendere impossibile la redazione degli stessi.

PIANI DI ZONA – CRITERI DI RIPARTO DEI FONDI Vengono contestati i criteri che l’Assessorato Regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali con D.A. n. 1935 del 25 novembre 2013 ha adottato in attuazione del D.P.Reg. 376 dell’11 novembre 2013 che ha approvato “Le linee guida per l’attuazione delle Politiche sociali e socio-sanitarie 2013-2015”, in esecuzione della deliberazione di Giunta Regionale n. 320 dell’8 settembre 2013, così come previsto al punto 5.1 “modalità di riparto” del citato documento. Viene stabilito che la somma da erogare ai Distretti Socio-Sanitari verrà quantificata ripartendo il budget a disposizione nella misura del 70% sulla base della popolazione residente (dati Istat 2011), del 28% sul numero dei Comuni facenti parte del Distretto Socio-Sanitario e del 2% per le Isole minori e arcipelaghi che per la loro collocazione geografica incontrano maggiori difficoltà rispetto agli altri territori della Regione. Il predetto Piano di Riparto risulta oltremodo penalizzante per i Distretti Socio-Sanitari con un numero ridotto di Comuni, per cui tale ulteriore conseguente diminuzione di trasferimenti delle risorse F.N.P.S., che si aggiunge a quella stabilita per il triennio 2013-2015 da parte dello Stato, avrà delle gravi conseguenze pregiudizievoli al fine di assicurare gli interventi e i servizi in linea con gli obiettivi fondamentali della Legge 328/2000. La ratio degli interventi previsti dalla Legge 328/2000 è quella dell’assistenza dei singoli soggetti e non del numero degli enti coinvolti nei Distretti, per cui risultano ingiustificati i criteri di ripartizione sopra citati che inficiano la parità di trattamento dei Distretti.

MANCATO ACCREDITAMENTO FONDI AI DISTRETTI SOCIO-SANITARI Altro problema è il mancato accreditamento dei fondi della III annualità del Piano di Zona 2010-2013 spettanti ai Distretti Socio-Sanitari per motivazioni attinenti al Patto di Stabilità. La mancata assegnazione dei predetti Fondi della L. 328/2000 ha causato nei Distretti Socio-Sanitari effetti gravemente pregiudizievoli al fine di assicurare la continuità degli interventi e servizi previsti nel Piano di Zona in linea con gli obiettivi fondamentali della Legge 328/2000 incentrati nel compimento di tutte le attività destinate a rimuovere e superare le condizioni di bisogno e di difficoltà delle fasce sociali deboli, oltre che un sistema di prestazioni e servizi sociali idonei ad eliminare o ridurre le condizioni di disabilità, di disagio individuale e familiare, derivanti da inadeguatezza di reddito e condizioni di non autonomia in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. Il rischio che si corre è la sospensione dei servizi previsti nell’ambito del Piano di Zona del Distretto Sanitario a causa della mancata corresponsione, da parte dei Comuni del Distretto, degli emolumenti maturati dalle cooperative che gestiscono detti servizi. Le cooperative che in questi anni hanno garantito i servizi nell’ambito del Distretto Socio-Sanitario minacciano di interrompere l’erogazione degli stessi con i comprensibili e devastanti effetti che questo comporterà. Dette strutture hanno già diffidato la stazione appaltante per il mancato rispetto delle norme di cui agli articoli 133, 142 e 253 del D.Lgs n. 163/2006 e degli articoli 141, 142 e 143 del relativo regolamento di attuazione del DPR 5 ottobre 2010, n. 207 considerato il perdurante inadempimento delle obbligazioni assunte ed il mancato pagamento dei servizi sin qui effettuati.

MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI Tra le numerose problematiche, quella dei MSNA ha rappresentato e rappresenta per numerosi Comuni un capitolo del bilancio particolarmente oneroso a fronte dell’impossibilità di esercitare su tale tema un ruolo attivo. In più occasioni si è invocato l’intervento del governo regionale e, segnatamene, quello dell’assessorato alla Famiglia al fine di porre ordine alla materia relativa alla autorizzazione delle strutture di accoglienza presenti nel territorio e a quella relativa al costo della retta giornaliera. NUOVO CICLO DI PROGRAMMAZIONE 2014/2020.

FORMAZIONE DEL PROGRAMMA OPERATIVO REGIONALE 2014/2020. Nel nuovo ciclo di Programmazione 2014-2010, anche alla luce della riforma che ha ridisegnato l’organizzazione degli Enti locali, per affrontare la complessa tematica dello sviluppo regionale risulta necessario dare attuazione ad azioni integrate di sviluppo di aree interne e di aree vaste sub regionali. I primi passi operativi della prima fase di spesa 2014/2020 dovranno attivare, con immediatezza, azioni di sistema utili ad affrontare i problemi concreti dei diversi settori produttivi della Regione e, nel contempo dovranno avviare azioni a forte potenzialità di riorientamento produttivo. Gli Orientamenti per il ciclo di programmazione 2014/2020 dovranno dare attuazione ad una “Politica basata sui luoghi”, orientata alla inclusione sociale ed allo sviluppo economico, ponendo in essere una “programmazione democraticamente partecipata” valorizzante le potenzialità locali intese quali “fattori latenti dello sviluppo” e per dare contenuti a nuove formule di “progettazione integrata di aree vaste omogenee”. Le esigenze strategiche dettate dall’attuale fase di ri-centraggio delle competenze istituzionali pubbliche italiane e coerenti con i definiti nuovi regolamenti comunitari 2014/2020 devono distinguere politiche di sviluppo differenziati fra “Città” ed “Aree vaste omogenee”, per una loro innovativa specializzazione funzionale individuando nelle Città, le entità erogatrici di servizi di rango sovraordinato di livello differenziato (città medie, grandi, e città metropolitane) e nelle Aree vaste omogenee, le entità “tipiche delle aree interne”, costruttrici e gestori di beni pubblici e/o di interesse pubblico. A partire dalle reali necessità e potenzialità delle aree regionali svantaggiate le iniziative dovranno quindi essere incentrate sui concetti di “città funzionale e città a rete”, particolarmente idonei alla generale riorganizzazione delle funzioni ed attività da svolgere nei Comuni e sulla re-identificazione territoriale e ri-territorializzazione dell’economia nelle aree vaste interne della regione (classificabili di pregio sotto il profilo ambientale, storico-culturale, agroalimentare, artigianale, dell’ospitalità, ecc), anche, strategicamente, attraverso l’integrazione delle Economie Reali delle aree interne con quelle della costa e mediante politiche di coesione e di integrazione con i Paesi frontalieri del Canale di Sicilia. Per le Città si dovranno poi individuare i “bacini di utenza ottimali” dei “servizi essenziali di rango sovra-ordinato”, per i cittadini e le Imprese e, di conseguenza, implementare le strutture ed infrastrutture nelle “Città” individuate erogatrici di tali servizi; per le Aree vaste omogenee si dovranno individuare tali entità sulla base delle relative potenzialità e dei SLS consolidati, semplicemente analizzando i “processi locali di sviluppo” maturati in più cicli di programmazione pubblica e riconosciuti dalle Istituzioni pubbliche. Queste azioni, immediatamente attivabili, rappresentano delle buone prassi di “sviluppo locale” che hanno garantito in più cicli di programmazione e possono continuare a garantire continuità amministrativa a “processi di sviluppo di area vasta subregionale”, nel rispetto di una strategia di sviluppo locale validata dalle istituzioni sovraordinate (regionali, nazionali) che possiedono il “livello di capacitazione” voluto dal nuovo ciclo di programmazione per implementare nelle aree interne l’integrazione di politiche differenziate e complementari. Le buone prassi consolidate aprono poi ad “azioni interterritoriali di sistema regionale” ed alla “cooperazione transnazionale”. Tale metodo, al contempo, permette di individuare i due Partenariati Pubblico-Privati legittimati dalle norme regionali/nazionali e dai nuovi regolamenti comunitari 2014/2020, a gestire “risorse economiche pubbliche territorializzabili”: i Liberi Consorzi di Comuni operanti nella qualità di “Agenzie di Sviluppo Locale” , Partenariati Pubblico-Privati a prevalente capitale pubblico, operanti in ambito Fondo Europeo Sviluppo Regionale (FESR) e Fondo Sociale Europeo (FSE). T; i Gruppi di Azione Locale “GAL”, Partenariati Pubblico-Privati a prevalente capitale privato, operanti nell’ambito del Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR); tali organismi di partecipazione rilevano i reali fabbisogni delle Economie Reali dei SLS ed aree omogenee di riferimento, prevalentemente costituite da Microimprese e Piccole e Medie Imprese (M-PMI), le aiutano ad individuare le possibilità di sviluppo e propongono alle sovraordinate “Agenzie di Sviluppo” di attuare una programmazione pubblica orientata al soddisfacimento dei bisogni dei luoghi (programmazione “perorata dal basso”). Le Esigenze programmatorio-operative consistono nel concludere nel più breve tempo possibile l’attuale fine ciclo di programmazione 2007/2013 e preparare un contesto Istituzionale favorevole al nuovo ciclo ponendo in essere i meccanismi correttivi necessari per garantire la realizzazione degli interventi finanziati e ritardati nella loro attuazione dai meccanismi della spending review; nel porre in essere una prima serie di “innovazioni istituzionali orientate alla valorizzazione dei luoghi”, visti nell’ottica di “aree vaste omogenee dai potenziali sotto-utilizzati”; nell’organizzare al meglio l’operatività del Programma Operativo Sicilia 2014/2020, a partire dalla immediata valutazione delle esigenze operative di una pluralità di “progetti pilota”, d’ambito urbano e d’ambito di area vasta.

ZONE FRANCHE URBANE Tre sono gli aspetti assolutamente fondamentali e necessari per un imminente inizio delle procedure di avvio delle ZFU che, oggi più che mai, a maggior ragione in presenza dell’avversa e grave condizione di crisi, rappresentano una opportunità di sostegno per le aziende e per la salvaguardai dei livelli occupazionali, oltre che per assicurare nuove opportunità di sviluppo e di crescita socio-economica. Il primo, riguarda gli adempimenti regionali relativi alla Comunicazione al Mise delle scelte operate da tutte le ZFU per le riserve di scopo da dedicare alle singole ZFU; il secondo, riguarda l’individuazione di risorse complementari (anche a valere dei fondi europei di critica e rendicontazione) da dedicare a quelle necessarie opere di riqualificazione urbana e/o manutenzione ordinaria e straordinaria dei contesti ambientali in interesse, oltre che a misure complementari del segmento sociale nelle aree bersaglio individuate; il terzo, la necessità impellente di una concertata attività sinergico-regionale atta a snellire le procedure urbanistiche eventualmente correlate. Oggi più che mai appare importantissimo concentrare i massimi sforzi possibili per attivare questo importante strumento nei territori siciliani.

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