VENERDI’ SANTO, IL TESTO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DELL’ARCIVESCOVO MONTENEGRO
Questo il testo integrale dell’intervento dell’arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, in piazza Municipio, al tennine della processione serale del Venerdì Santo.
“Signore Gesù, ancora una volta, Ti abbiamo accompagnato lungo le vie della nostra Agrigento; ma Tu, ancora una volta, ci ricordi che non basta portarti per le nostre vie. Tu passi tra noi per interrogarci e, pure in questo venerdì santo, ci chiedi di non sentirci appagati solo perché abbiamo ripetuto una tradizione, anche se sentita e partecipata, ma di saper andare oltre, di non fermarci in superficie, ma a scendere sotto, negli ipogei della nostra società più che in quelli della nostra città. Ci chiedi di avere il coraggio di vedere ciò che invece tentiamo di nascondere o difatti celiamo nelle pieghe e nelle fessure della nostra umanità.
Gesù, permettimi allora di dirTi subito che quel 3 ottobre dello scorso anno a Lampedusa ci hai colto veramente di sorpresa. Io, noi, fieri del nostro passato di religiosità, fino a quel momento pensavamo, come Simon Pietro e gli apostoli, di non vacillare nella fede, di non essere capaci di rinnegarti, tanto più di tradirti o dall’esserTi indifferenti (cfMt 14, 22-33; Mt 26, 69-75; Mc 14, 53-54.66-72; Lc 22,54-62; Gv 18, 12-18.25-27), invece devo dirti che io per primo mi sono sentito frastornato e impaurito —lo sai – sul molo dell’isola, davanti ai sacconi blu che contenevano le salme e davanti a quell’immensa folla di bare. Sono state le lacrime dei poliziotti e dei soldati afanni pensare che anche tu, in quel momento, come davanti alla tomba di Lazzaro, piangevi per quei morti. Ma ciò che mi è sembrato stonato in quelle ore è che all’indignazione e allo sgomento si andavano mescolando, anche da parte di buoni cristiani, ingannevoli giudizi e pesanti condanne nei riguardi dei morti del naufragio e dei sopravvissuti, senza minimamente interrogarsi se c’era qualche nostra responsabilità in quella storia di morte e di sofferenza. Abbiamo deciso che se c’era un responsabile di tutto eri tu! I nostri cuori chiusi all’accoglienza, per noi, non sono un problema.
“Dov’è Dio? Forse dorme?” Più o meno suonavano così le domande dei molti improvvisi pubblici ministeri di allora e di oggi, un po’ figli —per laverità — degli Anna e dei Caifa di ieri. Molti hanno trovato allora – ma anche ora – un’unica giusta (almeno per loro) soluzione, buona per chiudere e non afiìontare il problema: rimandare indietro gli immigrati. Come se quelle donne e quegli uomini fossero dei pacchi non graditi da rinviare al mittente, e non uomini sofferenti e solo desiderosi di una vita più sicura e dignitosa! Molti di quei cadaveri, tu lo sai Signore, sono stati trovati con in bocca una croce o una medaglietta. Hanno anticipato così l’incontro con te. Qualcuno è stato trovato nella stiva a mani giunte: è morto pregando. Due di loro sono stati visti, prima di andare a fondo, abbracciarsi per morire insieme. Facci capire, Signore, che non è possibile considerare costoro, i 20.000 morti inghiottiti nella tomba liquida del mare e coloro che continuano a sbarcare, ospiti importuni e spregevoli, dacci luce sufficiente per considerarli fratelli – molti di loro infatti sono cristiani come noi -, perché anche loro ti chiamano Padre come facciamo noi che ora siamo attorno alla tua urna. Tu, in quella tragica alba, ne sono certo, sei sceso e salito con chi, a causa di guerre, carestie, assenza di giustizia e di diritti, annegava nelle acque del Mediterraneo. Ti sei inabissato a 47 metri di profondità e a ognuno dei 366, travolti e sommersi da un sonno d’acqua e di morte, non hai fatto mancare l’ultimo bacio della vita e il primo della resurrezione. Senz’altro non hai perso tempo ad ammettere quei bimbetti, di cui ho visto i volti, nel giardino degli angeli e ora al sicuro godono di Te, del Padre e della gioia dello Spirito, nella giostra dei santi.
Dentro di me, Gesù, riecheggiano con forza, le tue parole: «Date loro da mangiare» (Mc 6,37). Ti chiedo: «Signore, ma io, noi c’entriamo in questa storia?». Tu ci rispondi di sì. E così come al solito scombini le nostre logiche; ci ricordi che loro sono il Tuo sacramento, come lo è l’Eucaristia, e che se scarichiamo loro scarichiamo anche Te; se ci schiodiamo dalle nostre responsabilità e dai nostri doveri di giustizia, condanniamo e inchiodiamo loro e così condanniamo e inchiodiamo ancora una volta anche Te.
A noi che Ti chiediamo: «Dov’eri quella mattina? Dove dobbiamo cercarti ora?» rispondi: «Quel giorno ero lì. In acqua con loro. Ora sono tra coloro che sbarcano dalle navi militari. Ma voi piuttosto dove mi cercate? E vero che sono nelle chiese, ma riuscite a riconoscermi lungo le strade e le piazze della vostra Agrigento? Mi avete visto infreddolito, avvolto solo da una coperta, steso per terra presso la stazione? Ma ditemi, accettate davvero tra voi i miei poveri? Stasera torno a chiedervi: «Dov’è tuo fratello?» (cfGn 4, 9).
Signore, sai, stai ripetendo la stessa tremenda domanda che papa Francesco ci ha rivolto venendo a Lampedusa. Risuona ancora forte dentro di noi e io e la mia gente sappiamo che non possiamo trovare scuse, dobbiamo cercarTi, trovarTi e riconoscerTi lungo le nostre strade, così come facciamo nelle nostre Chiese. Signore Gesù, è vero, a furia di non voler vedere i poveri, stiamo diventando miseri. Quante menzogne, quanta disinformazione, quante chiusure meschine e persino calunnie si spargono dai circoli ai bar, dai pub ai blog! Gli immigrati sono diventati i nuovi bersagli del nostro egoismo: ‘Perché vengono qui? – sento ripetermi – Ma non c’è posto e lavoro per noi, figurarsi per loro’. A pensarci, anche per Te Signore non ci fu posto a Betlemme. Anche Tu e Giuseppe, molto festeggiato da queste parti, ma solo per un giorno (!), conosceste la migrazione per lavoro e per sfuggire al potere di Erode. Non li vogliamo, poi, però, ci serviamo di loro, li sfruttiamo e li paghiamo male, se li paghiamo. Ho sentito dire anche 10 euro per 12 ore di fatica. Signore, la verità è che continuiamo arinchiuderci nei nostri fortini di solitudine e nei recinti sicuri che ci riparano da chi non è come noi. Anche da noi va diffondendosi il contagio della “globalizzazione dell’indifferenza”.
Pressappoco pensiamo così: «Non m’importa, non è della mia famiglia, perciò vado oltre, per la mia strada, a rincorrere la mia “bolla di sapone”», e così si ripetono anche qui i gesti meschini del sacerdote e del levita della parabola che videro, ma passarono oltre (cfLc 10, 25-37).
L’indifferenza e la noncuranza ci fanno vivere in stato di anestesia e si moltiplicano le paure. Cresce l’arroganza, la prepotenza, serpeggia il rancore e, soprattutto tra le nuove generazioni, c’è una corsa all’auto distruzione: alcool e droghe. Aumentano le scommesse, sempre più gente resta incantata dinanzi a un video giochi e fa incetta di “gratta e vinci”, impoverendosi. Lo smarrimento è diventato nostro coinquilino o dirimpettaio.
La prepotenza apre la strada alle tante forme di violenza, mafiosa e no. C’è poi l’usura e le estorsioni, opera di sanguisughe umane che non solo dissanguano riducendo uomini e donne a larve disperate, che soffocano la nostra economia. Signore però non voglio, né posso dimenticare in questo momento i fratelli carcerati di contrada Petrusa e di Sciacca. Sono stato ieri a trovarli. Signore fa tornare al nostro cuore e alla nostra mente le tue parole: «ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25, 36). Mi rendo conto, Signore, che sto dando l’impressione che in questa terra ci sia solo del brutto e del nero. Non è così, ma se non ne parliamo rischiamo anche di non vedere. Ma – e tu lo sai – a fronte di tante chiusure, con gioia ti dico che in questo territorio non mancano i Samaritani, le Veroniche, le Marie e i Cirenei. Sono presenze silenziose e attive, numerose e sparse per il territorio, persone che dilatano il cuore alla speranza, accendono i fuochi della Pasqua, fanno presagire un mondo altro, una fraternità conviviale che si lascia alle spalle l’odio per la diversità e le differenze. Il mio desiderio – ma è anche il tuo, vero? – è che questo esercito di bontà aumenti di numero.
Dacci una mano, Signore Gesù, perché la nostra Agrigento diventi la “locanda del Buon Samaritano”, la “trattoria della convivialità delle differenze”, la “casa del diritto e della giustizia”, l’avamposto terreno della Pasqua. Santa Maria, donna del sabato santo, sogna con noi agrigentini, sogna per noi e dacci la forza del tuo antico cantico, il Magnificat. Amen”.