MAFIA, SEQUESTRATI BENI PER 700 MLN DI EURO AL RE DEI SUPERMERCATI, GIUSEPPE GRIGOLI. LO SCONTRO CON I CAPIZZI DI RIBERA RISCHIO’ DI SCATENARE UNA GUERRA
Beni mobili e immobili per un valore di oltre 700 milioni sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia all’imprenditore di Castelvetrano Giuseppe Grigoli, 64 anni, indicato dagli inquirenti come uomo di fiducia e prestanome del boss latitante Matteo Messina Denaro, ritenuto nuovo capo di Cosa Nostra. Il provvedimento definitivo di confisca del patrimonio emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Trapani riguarda 12 società, 220 fabbricati.
Il provvedimento del tribunale di Trapani riguarda l’intero capitale sociale della “Grigoli distribuzione srl” e della “Gruppo 6 Gdo”, quest’ultima compagine gestisce direttamente 43 punti vendita con marchio Despar fra Trapani e Agrigento e altri 40 supermercati affiliati. La confisca riguarda anche quote societarie della “Ga.gi.vi. srl” di Canicattì, della “Alimentari Provenzano” di Giardinello e della società di gestione del centro commerciale “Belicittà”.
“Si tratta di una delle confische più rilevanti dopo quella di Vito Nicastri – dice il direttore della Dia Arturo De Felice – nell’ultimo anno le indagini portate avanti nella Sicilia occidentale hanno tolto a Cosa nostra un patrimonio di quasi tre miliardi di euro. Noi proseguiamo nella strategia di aggressione ai patrimoni illeciti di Cosa nostra, per stroncare i flussi economici e finanziari che fanno capo al latitante Matteo Messina Denaro. L’organizzazione mafiosa ha subito colpi pesanti, ma resta ancora pericolosissima”.
In venticinque anni, Giuseppe Grigoli ha costruito un impero nel settore della grande distribuzione. Nel 1974 era solo il titolare di un piccolo supermercato a Castelvetrano. Fino al 2007, Grigoli controllava tutti i supermercati Despar nella Sicilia occidentale. Adesso, quella rete di società passa allo Stato.
Le indagini del centro operativo Dia di Palermo, diretto dal colonnello Giuseppe D’Agata, considerano Grigoli uno dei prestanome prediletti del superlatitante Matteo Messina Denaro.
Il provvedimento del tribunale Misure di prevenzione di Trapani ha fatto scattare i sigilli per 12 società, 133 appezzamenti di terreno (60 ettari) e 220 fra palazzine e ville. Lui, l’ormai ex re dei supermercati Despar, è in carcare dal 2007 e sta scontando una condanna a 12 anni per associazione mafiosa, confermata di recente dalla corte d’appello di Palermo.
Il nome di Grigoli era nelle lettere di Matteo Messina Denaro ritrovate nel covo di Bernardo Provenzano, l’11 aprile 2006. Il boss trapanese era andato su tutte le furie quando aveva saputo che i suoi colleghi mafiosi di Agrigento avevano chiesto il pizzo a Grigoli per l’apertura di alcuni supermercati a Ribera. Così, Messina Denaro aveva scritto direttamente a Provenzano, chiedendo un autorevole intervento contro i Capizzi di Ribera, che volevano pure loro sfondare nel settore della grande distribuzione, ma avevano finito per litigare con Grigoli, non pagando un debito per le forniture.
“Il paesano mio”, lo chiamava Messina Denaro. Che scriveva nei pizzini: “Se il signore di Ribera, con i tempi che corrono, avesse fatto ciò a chicchessia, a quest’ora sarebbe già in carcere perché chiunque sarebbe corso alla caserma a denunciarlo. Solo che ha capito che il mio paesano non ci andava alla caserma, lo ha capito sia per il comportamento del mio paesano sia perché faceva il mio nome a lui, per cercare di non cedere alle richieste incessanti”. Di questa pasta era fatto “il paesano”. Per gli investigatori non ci sono dubbi. “Il paesano” è il patron della Despar.
“Passo ora a dirle il mio problema che ho nella zona di Ag – così iniziavano le presentazioni del padrino di Trapani – c’ è una persona di Castelvetrano che ha la concessione dei supermercati Despar, cioè questa persona apre dei punti vendita Despar in ogni paese e dà la gestione del punto vendita a persone del medesimo paese. A Ribera la scelta cadde su un certo Capizzi Giuseppe: sin dal primo momento cominciò a fare alla persona discorsi di “annacamento” generale. Ben presto si capì che il fine di questi discorsi era che lui non voleva pagare le forniture di merce”. Messina Denaro, da buon consigliere di certa imprenditoria trapanese, aveva già proposto cosa fare: “Poco tempo fa – spiegava a Provenzano – faccio sapere al concessionario di chiudere il punto vendita di Ribera”. Ma il debito era rimasto tale. Anzi, Capizzi aveva avanzato pure una richiesta di pizzo per tutti i Despar dell’Agrigentino.
Così cominciò il lungo carteggio, poi ritrovato nel covo di Montagna dei Cavalli. E per mesi, i messaggeri di Cosa nostra viaggiarono verso Corleone, e poi verso Trapani e Agrigento. Perché il capo di Cosa nostra interessò della questione il “pari grado” di Messina Denaro, ovvero il rappresentante di Agrigento, Giuseppe Falsone. Che naturalmente, prese le difese di Capizzi, nome in codice “Cpz”.
Anche il pizzino di Falsone è stato trovato nel covo di Provenzano. Messina Denaro non indietreggiò. Inviò addirittura copia delle fatture a Provenzano: “Il debito è 297.097,13”. Aggiunse: “Capizzi prima restituisca i soldi che si è preso e dopo gli amici di Ag mi dicono cosa vogliono dal mio paesano ed io sono disponibile a sistemare il tutto. E’ ormai una questione di principio. Io ho fatto della correttezza la mia filosofia di vita”.
L’ultima lettera che conosciamo sull’argomento arrivò da Trapani: “Solo se Cpz comincia a pagare – precisò Messina Denaro – il mio paesano paga 10 mila euro per ogni sito che ha ad Ag per ogni anno. In questo caso, dato che paga, non darà posti di lavoro. La mia seconda proposta: se il mio paesano non paga niente per come vuole il 28 (è il codice di Falsone – ndr) per rispetto a me, ed io lo ringrazio e gli sono grato per ciò e dica al 28 che io non dimenticherò mai questa gentilezza, allora se il mio paesano non paga, darà due posti come impiegati per ogni sito, impiegherà 2 persone che interessano ad Ag”. Non sappiamo come andò a finire. Provenzano fu arrestato prima.