PROCESSO MAROTTA: PER LA DIFESA NON SI PUO’ INDICARE COME MAFIOSO CHI SUBISCE UN’UCCISIONE IN FAMIGLIA
Si è svolta ieri al tribunale di Sciacca l’arringa del difensore dell’imprenditore riberese Carmelo Marotta, accusato di associazione mafiosa e favoreggiamento alla latitanza del boss agrigentino Giuseppe Falsone.
Il penalista saccense Aldo Rossi, dopo la sua discussione durata tre ore, ha chiesto l’assoluzione mentre il codifensore, il penalista palermitano Antonio Zanglì, ha depositato la sua memoria difensiva. In precedenza, il pubblico ministero della Dda aveva chiesto la condanna a complessivi 16 anni di reclusione.
L’avvocato Rossi ha evidenziato come l’accusa poggia il suo fondamento sul fatto “che la posizione del Marotta non può prescindere dall’alveo mafioso del paese dell’imprenditore”. In buona sostanza, il penalista ha contestato le “deduzioni” investigative che pongono in parallelo Marotta col contesto del paese di nascita e di residenza. Allo stesso modo ha contestato il profilo dipinto dagli inquirenti secondo cui Marotta sarebbe “soggetto fertile del 416 bis (associazione mafiosa) perché ha avuto dei delitti in famiglia di natura efferata”.
Il legale ha inoltre ha vibratamente contestato che si “targa come soggetto fertile alla mafia chi subisce un’uccisione in famiglia” (il padre del Marotta venne ucciso diversi anni fa).