CARNEVALE, GUARDIAMO INDIETRO
La festa del carnevale è diventata una trappola per qualsiasi amministrazione comunale.
Editoriale di Filippo Cardinale
La festa del carnevale è diventata una trappola per qualsiasi amministrazione comunale. Basta consultare l’archivio del nostro giornale (casella “CERCA”) per rendersi conto che, da qualche anno, le amministrazioni di vario colore politico finiscono costantemente in un cul de sac.
Anche l’amministrazione Di Paola non ha potuto evitare di cadere nella trappola della festa carnascialesca. Molto probabilmente, spinta dall’entusiasmo iniziato a settembre con la pubblicazione del manifesto con tanto di data: febbraio. Poi, seguita da considerazioni che poggiavano più su speranze che su certezze. La Regione è senza soldi. E’ facile fare il paragone con una famiglia che vive di stenti. Il padre stenta ad arrivare a fine mese, mentre qualche figlio si illude ancora di poter spendere in modo facile, e soprattutto incosciente.
Il carnevale è diventato, da anni, strettamente collegato alla politica. Una miscela che non solo ha fatto innalzare i costi a carico delle casse comunali, ma non ha consentito alla politica di fare quelle giuste riflessioni fondate sulla ragione e non sui consensi elettorali. Il carnevale è deragliato dal binario giusto degli anni ottanta, per incanalarsi, via via, su percorsi segnati dalla smania di grandezza che caratterizza l’animo saccense. Forse, è necessario riflettere su alcuni punti.
Il carnevale ha raggiunto il suo picco di presenze. Visitatori che provengono dalle province limitrofe e che riempiono la nostra città il sabato e la domenica. Il vantaggio di tale affluenza sta, sostanzialmente, nell’incrementare la vendita di panini, bibite e alcol. E’ impensabile pensare di incrementare tale afflusso di presenze. In economia, si dice che la curva ha raggiunto l’apice della crescita. E’ noto a tutti, che in Italia si svolgono tantissimi carnevali. Escludendo per la sua caratteristica ineguagliabile quello di Venezia (l’unico su cui puntano i tour operators), è inutile fare la lotta per stabilire vantare quello più antico, quello più bello, e via dicendo. Bisogna comprendere che non è possibile immaginare che il nostro carnevale, come quello di Acireale, Termine Imerese e via dicendo, possa attirare l’interesse di famiglie del nord Italia o europee.
Non dobbiamo dimenticare che al Nord esiste l’irrinunciabile vocazione della “settimana bianca”. Non solo, ma è, nel contempo, impensabile che le famiglie possano spendere fior di soldi per raggiungere la Sicilia nel periodo invernale, nel quale periodo i flussi turistici, invece, segnano dati insignificanti. Vuoi per i costi, vuoi per le difficoltà di giungere nell’isola in considerazione che molte tratte aeree sono depennate o ridotte, vuoi perché la Sicilia, purtroppo, suscita l’interesse d’estate. Decenni, almeno tre, sono trascorsi con l’infruttuoso tentativo di “vendere” nelle varie fiere il nostro carnevale come polo attrattivo di flussi turistici.
Alla fine, facendo bene i conti, i visitatori provengono massicciamente dalla nostra zona, dal palermitano, dall’agrigentino, dal nisseno, dal trapanese. Dicevo che la curva di crescita del nostro carnevale, dal punto di vista delle presenze, ha raggiunto il suo culmine. Allora, di fronte a questa realtà, perché non stare con i piedi per terra? Riconduciamo la festa nelle dimensioni più consone ai tempi nostri, caratterizzati da ristrettezze finanziarie degli enti pubblici. Ricordiamo che il nostro è un carnevale il cui costo maggiore è destinato per le premiazioni. Ritorniamo a progettare un carnevale sulla giusta misura, al netto della smania di grandezza. Riconsideriamola una festa nostra che dia la possibilità, oltre al sano divertimento, di far lavorare l’indotto a tutti noto. Un carnevale con i piedi per terra e che mantenga la tradizione.
Ma una tradizione senza la deleteria deviazione della smania di grandezza. E siccome i conti si fanno con l’oste, si cominci concretamente a progettare un carnevale che pesi sulle casse comunali nella giusta proporzione. Il tempo delle vacche grasse è terminato e non è più riproponibile. E si cominci, invece, a progettare la valorizzazione della nostra vocazione turistica a base di mare. L’estate, da tanti anni, è diventata una stagione priva di “pulsazioni”.
E dire che incrementare le presenze estive significa far lavorare e sviluppare quell’indotto il cui fatturato diminuisce sempre più. E non solo per un fine settimana. La classe politica si rimetta le vesti del pater familias.