IL GIORNO DELLA MEMORIA. PER NON DIMENTICARE IL MARTIRIO DEGLI INNOCENTI
Di Giuseppe Rizzuti
Il 27 gennaio di ogni anno ricorre la Giornata Internazionale della Memoria per ricordare i circa sei milioni di Ebrei vittime dell’Olocausto. “Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario” diceva Primo Levi.
Il “giorno della memoria” rappresenta l’impegno delle giovani generazioni per costruire e mantenere sempre viva la consapevolezza dell’importanza del rispetto della dignità umana, a prescindere dalla razza, dal colore, dalla religione o da qualsiasi altra diversità a cui un essere umano possa appartenere. E non è giustificabile per nessuna ragione al mondo alcuna deroga a questi principi e valori che sono e devono rimanere per sempre universali.
E’ giusto che oggi ci si interroghi su ciò che è stato in quegli anni di follia collettiva e sui motivi che hanno consentito il prevalere di sentimenti di rifiuto dell’umanità e di comportamenti di prevaricazione e atrocità verso il prossimo. Su come è stato possibile che nella civilissima Germania, patria di filosofi, musicisti, poeti e scrittori di livello mondiale, l’ideologia nazifascista abbia potuto calpestare la dignità umana di milioni di persone e lo Stato sia potuto diventare una organizzatissima macchina di morte.
Qualche tempo fa mi è capitato di fare, con un gruppo di amici, una gita in Germania e più esattamente a Berlino e zone limitrofe. Era il periodo prenatalizio con la città addobbata a festa e piena di luminarie. Era semplicemente splendida, seppure con qualche contraddizione. Il programma della gita prevedeva, fra l’altro, la visita ad alcuni importantissimi Musei cittadini. Di questi mi ha particolarmente colpito quello ebraico e, in particolare, una sala buia di quel Museo che si attraversava calpestando tante piastre metalliche raffiguranti volti umani di uomini, di donne e di bambini a simboleggiare i milioni di ebrei morti nei campi di sterminio. Il rumore che ne veniva fuori era semplicemente agghiacciante.
Ricordava moltissimo quello delle catene ai piedi dei prigionieri condannati a morte. Quel rumore portava a riflettere sulle atrocità del nazifascismo e sulla assurdità degli stermini di massa avvenuti in Germania e nella vecchia Europa solo alcuni decenni addietro. Nei giorni successivi il programma prevedeva anche la visita al campo di concentramento di Sachsenhausen il cui nome sicuramente è meno famoso di altri ma che invece era il campo modello per eccellenza, costruito con teutonica precisione in ogni suo dettaglio.
Da qui partivano gli ordini per tutti gli altri campi sparsi in tutta la Germania e in tutta Europa. ARBEIT MACHT FREI ossia “Il lavoro rende liberi”: così diceva la scritta in ferro battuto posta sulla porta di accesso di quello che sembrava essere una tranquilla palazzina di provincia. Composta da un piano terra e un primo piano con un’elegante torretta centrale sormontata da un orologio. Così si presenta ancora oggi l’accesso a quel campo di concentramento situato a circa 35 chilometri a nord di Berlino divenuto da tempo un Museo visitatissimo. Meno noto al grande pubblico di quanto non lo siano Dachau o Auschwitz.
Invece proprio da Sachsenhausen venivano “amministrati” tutti gli altri campi di sterminio durante la seconda guerra mondiale. E’ qui che, fra l’altro, venivano fatti i famigerati “esperimenti scientifici” sui prigionieri in massima parte ebrei e perfino sui bambini.
Il Giorno della Memoria è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno come giornata di commemorazione delle vittime dell’Olocausto perpetrate dal nazionalsocialismo e del fascismo e in onore di coloro i quali, anche a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati. La data è stata scelta in ricordo del 27 gennaio 1945, quando le truppe dell’Armata Rossa, nel corso dell’ultima offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo quello che doveva divenire il più tristemente famoso campo di sterminio.
Infatti Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo intero l’efferatezza e l’orrore degli strumenti di tortura e di annientamento utilizzati nei lager nazisti e di quanti lutti avevano provocato in ordine a una presunta superiorità della razza ariana su tutte le altre. Equivocando volutamente sul fatto che l’Ebraismo è una religione e non una razza. Normalmente si è portati a pensare che queste nefandezze siano avvenute solamente in Germania e nell’Europa del Nord occupata. Noi Italiani pensavamo di essere lontani da certa barbarie. Invece non è stato così.
L’estate scorsa, sempre con lo stesso gruppo di amici abbiamo visitato Trieste, splendida città di confine e famosa per mille ragioni storiche, passate e recenti. Fra le tante cose viste un’attenzione particolare l’abbiamo dovuta dare alla Risiera di S. Sabba. Dal nome di un santo associato a quello del riso si è portati a pensare ad una pacifica industria di lavorazione di quel prodotto. Invece la Risiera solo originariamente era stata un’industria alimentare. A partire dall’otto settembre 1943 era stata trasformata in uno dei più importanti campi di concentramento in Italia, col doppio uso di smistamento e di annientamento dei prigionieri. Nel campo venivano anche detenuti ed eliminati oltre agli Ebrei, Sloveni, Croati, partigiani e detenuti politici in genere. Nel lager italiano c’era un forno crematorio per la eliminazione dei cadaveri: questo forno era stato ricavato da un essiccatoio in cui in precedenza veniva asciugato il riso.
Oggi la Risiera è un vero e proprio museo, visitato giornalmente da tante scolaresche. Questo luogo è di assoluta importanza in quanto fu l’unico campo di deportazione dell’Europa meridionale. Il forno crematorio e la connessa ciminiera furono abbattuti con esplosivi dai nazisti in fuga nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1945, nel tentativo di eliminare le prove dei loro crimini, ma sono stati descritti successivamente dai prigionieri testimoni del campo.
Quest’anno è stato assegnato giustamente alla vecchia Europa il Premio Nobel per la Pace. Non era mai avvenuto nella storia dell’umanità che in Europa vi fosse un periodo così lungo di pace come quello che dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi. Ben 68 anni! Se si pensa che nei primi quarant’anni del ‘900 erano scoppiate due Guerre Mondiali, (entrambe provocate dalla Germania) il Nobel è meritatissimo.
Nell’immediato dopoguerra prima la creazione della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e successivamente quella dell’Europa Unita, di cui l’Italia è stata uno dei sei paesi fondatori, sono servite innanzitutto ad assicurare all’Europa e al mondo intero un lunghissimo tempo di pace e di sicurezza comune.
In un’epoca non facile come quello della Guerra Fredda. E non è stata cosa da poco. Anche se l’attuale configurazione dell’Europa a 27 crea non pochi problemi di assestamento, il fatto che anche la vecchia Russia aspira a farne parte, vuol dire che qualcosa di buono questa organizzazione l’avrà pur fatto. C’è sicuramente tanto altro da fare specie per quanto riguarda la limitazione dell’egoismo di qualche componente importante.
Ma una terza guerra mondiale e un’altra Shoah non potranno avvenire mai più.