HEDIA, UN MISTERO LUNGO 50 ANNI. IL PIROSCAFO SCOMPARVE NEL 1962 CON 19 ITALIANI, DI CUI UN SACCENSE

Silenzio omertoso sulla vicenda. Silurato per errore da parte dalla marina militare francese o catturati dagli algerini? L’appello dei familiari

La storia del piroscafo Hedia ci riguarda direttamente. Ci riguarda perché a bordo vi erano 20 uomini di quali non si seppe più nulla, e nulla si sa ancora. Ci riguarda perché 19 di loro erano italiano. Ci riguarda perché uno di loro era saccense: Filippo Graffeo. Una storia che è finita nel buco nero dei “misteri” italiani.

Un buco che assorbe inesorabilmente i fatti quando a questi non si vuol dare una risposta. O, forse, perché è scomodo dare una risposta. Ma i fatti, fortunatamente, non vengono sepolti da uomini che hanno una coscienza. Uno di loro è il giornalista Massimiliano Ferraro. Ha ascoltato i parenti, ha scritto. Insomma, quel buco nero non è stato tappato nel silenzio ignobile.

Abbiamo colto l’appello dei parenti, di Accursio e Enzo Graffeo, nipoti di Filippo Graffeo, il saccense che si trovava a bordo del piroscafo Hedia e del quale non si ebbero più notizie, come per gli altri 19 dell’equipaggio. Anche noi del Corriere di Sciacca desideriamo offrire un contributo per non avallare quel silenzio omertoso che troppo spesso diventa una prerogativa italiana che serve a insabbiare tragedie che interessano vite umane. Specie quando nei fatti c’è lo zampino di Stati stranieri “amici”.

Certamente, la vicenda non può non interessare l’Amministrazione comunale. Almeno nel ricordo, intitolando una via alle vittime di questa tragedia. E tra le vittime c’è un figlio di Sciacca. L’indimenticabile e benefattore don Michele Arena si interessò della vicenda. Ma gli si pose davanti un muro di gomma.

Come, del resto, lo stesso muro di gomma riscontrarono tre interrogazioni parlamentari ai ministri della Marina Mercantile e per gli Affari Esteri: una del 12 novembre 1962 da parte dell’onorevole Armosino, una nel 22 gennaio 1964 da parte dell’onorevole Laforgia, una nel 14 aprile del 1965 da parte dell’agrigentino onorevole Giuseppe Sinesio. Questa, in sintesi, la risposta: “A seguito delle notizie relative al presunto riconoscimento di alcuni membri dell’equipaggio della Hedia in una fotografia riproducente un gruppo di europei prigionieri in Algeria all’atto della loro riconsegna alle autorità francesi, vennero immediatamente impartite istruzioni alle nostre autorità consolari in Tunisia ed in Algeria perché effettuassero ogni possibile ricerca. Purtroppo tutti gli accertamenti compiuti hanno dato esito negativo. In particolare le nostre autorità consolari in Algeria hanno compiuto accurate, infruttuose indagini presso le autorità francesi di Algeri, Orano e Bona nonché presso la delegazione della Croce rossa per accertare se tra i nominativi degli europei liberati – o dei quali si avesse notizia – non apparissero quelli di membri dell’equipaggio della Hedia. Non si è mancato inoltre di prendere contatto con il funzionario del consolato di Francia in Algeri che aveva preso personalmente in consegna e individualmente interrogato i detenuti riprodotti nella nota fotografia. Egli ha escluso ripetutamente che tra essi vi fosse qualche marittimo italiano, trattandosi esclusivamente di cittadini francesi residenti ad Algeri. Il nostro consolato ha già provveduto a comunicare direttamente alle famiglie dell’equipaggio della Hedia, le quali avevano creduto di riconoscere nella fotografia i propri congiunti, che purtroppo l’identificazione da loro effettuata era errata”.

LA STORIA

  Il 14 marzo 1962, la Hedia ripartì da Casablanca diretta a Venezia nonostante una violenta tempesta nel Canale di Sicilia. Dopo aver costeggiato la costa algerina il piroscafo, carico di 4000 tonnellate di fosfati, scomparve nei pressi dell’arcipelago tunisino di La Galite. Affondato per via le cattive condizioni del mare? Fu questa la prima ipotesi, ma dopo 7 giorni uno strano depistaggio da parte del comando del porto di Tunisi fece pensare al tentativo di coprire qualcos’altro.

Forse un atto di guerra compiuto per errore contro il mercantile italiano dalla Marina Militare francese, che in quei giorni pattugliava le coste dell’Algeria, ancora in guerra contro Parigi per ottenere l’indipendenza. Sui giornali circolò la voce che la Hedia fosse stata scambiata per una nave di contrabbandieri in procinto di rifornire di armamenti il Front National de Liberation algerino. Per avere delle conferme Romeo Cesca, triestino, padre di uno dei marinai dispersi, inviò un parente a battere l’arcipelago de La Galite in cerca ulteriori informazioni: qui, il comandante della base strategica di Biserta suggerì di inviare una relazione a Parigi.

A questo punto la possibilità di un avvenuto siluramento sembrò divenire concreta, ma allo stesso tempo non venne escluda la pista della cattura. Alcuni mesi dopo la scomparsa della nave infatti, cinque marinai italiani vennero riconosciuti dalle loro famiglie in una fotografia scattata a dei prigionieri nel consolato di Algeri. Ma perché nessuno di loro riuscì mai a mettersi in contatto con l’Italia dopo la liberazione? Lo scatto portava la data del 2 settembre 1962, proprio lo stesso giorno in cui il consolato francese venne assaltato e dato alle fiamme dai ribelli algerini.

Cosa accadde dunque all’equipaggio della Hedia? Un’indagine giornalistica provò a sciogliere il mistero riuscendo però solo nell’intento di creare altri interrogativi alla già complessa vicenda. Si disse che gli uomini ritratti nella foto non erano italiani e che i parenti dei marinai erano affetti da una improbabile psicosi collettiva. Dopo di ciò le indagini vennero presto archiviate e il caso fu di fatto completamente dimenticato dalla politica italiana.

Oggi, a distanza di cinquant’anni, la battaglia dei familiari dei marinai della Hedia per conoscere la verità è ripresa con forza. È prossima la creazione di un’associazione che tenterà di far riaprire i vecchi archivi e di smuovere il governo. L’appello dei familiari dei dispersi – secondo Accursio Graffeo, saccense e portavoce dei familiari dei marinai scomparsi- per venire finalmente a capo del mistero della Hedia sarebbe importante riuscire a contattare i marittimi imbarcati su navi mercantili che avevano detto di aver visto la nave sequestrata in stato di totale abbandono in un porto della Tunisia, cosi anche l’anonimo ufficiale della Marina Italiana, amico del signor Romeo Cesca, il quale nel 1962 affermò che l’equipaggio italiano era vivo ma trattenuto in una località segreta per gravi motivi di sicurezza.

Durante questi anni anche un tale Salvatore Maniscalco aveva detto di aver visto Graffeo Filippo marinaio della Hedia vestito da legionario in Francia, anche un tale Soldano originario di Sciacca che abitava in Francia aveva parlato di marinai camuffati da Legionari. La salvezza dell’equipaggio sarebbe stata inoltre confermata anche da Alessandro Petruzzelli, imbarcato sul piroscafo Giuseppe Emilio.

L’APPELLO

“Vorrei semplicemente ringraziare tutti coloro che ci stanno dando una mano nelle ricerche – dice Accursio Graffeo – e in particolare ci ha dato l’opportunità di raccontare questa storia. Nel concludere vorrei fare un appello ai lettori: chiunque sia a conoscenza di qualsiasi informazione sulla scomparsa della motonave Hedia si faccia avanti. Anche dopo mezzo secolo è giusto che venga finalmente alla luce la verità”. e

 

Per eventuali informazioni da trasmattere al rappresentante dei familiari del piroscafo Hedia:

mail: [email protected]

cell. 339/62.32.810

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