MAFIA, PROCESSO “MAGINOT”: ASCOLTATO CARMELO MAROTTA

E’ accusato di favoreggiamento alla latitanza dell’ex boss agrigentino Giuseppe Falsone, arrestato a Marsiglia dopo una lunghissima latitanza

E’  stato ascoltato, nell’udienza di oggi, Carmelo Marotta, 42 anni di Ribera, nell’ambito del processo antimafia scaturito con l’operazione “Maginot”. Marotta ha scelto di essere processato con il rito ordinario.

L’udienza si è celebrata a Sciacca dinanzi al collegio giudicante formato dai magistrati Andrea Genna, presidente, e a latere Silvia Capitano e Luisa Intini. Marotta è imputato di aver favoreggiato la latitanze del boss agrigentino Giuseppe Falsone, arrestato a Marsilglia nel giugno del 2010 dopo una lunghissima latitanza.

Il pubblico ministero della Dda di Palermo, Giuseppe Fici, ha posto alcune domande al Marotta, assistito dai penalisti Aldo Rossi e Antonino Zanghì, quest’ultimo del Foro di Palermo.

Marotta ha spiegato che utilizzava solo due schede telefoniche, una costantemente e l’altra di rado. Quest’ultima veniva lasciata nella sua Jeep in caso di emergenza. Ha inoltre spiegato al collegio giudicante di aver scoperto l’esistenza di altre schede telefoniche attivate a sua insaputa. Quando ha scoperto l’addebito in conto corrente delle bollette ha chiesto notizie ai gestori, scoprendo che erano state attivate con copie di suoi documenti e con una firma da lui ritenuta falsa. Circostanza che avrebbe, secondo quanto raccontato dal Marotta, denunciato ai carabinieri.

Poi ha risposto alle domande sulle pen drive sequestrate. Marotta ha sostenuto di essere in possesso di 5 pen drive tenute all’interno del suo marsupio lasciato sempre nell’ufficio dell’azienda (Edilmar Srl) di Sciacca e che sarebbero servite ad effettuare il back up dei dati contabili della sua azienda. Marotta ha raccontato che una delle 5 pen drive era guasta, non era possibile, cioè leggerne il contenuto, e che quindi non ne faceva uso. “Gli investigatori- ha detto Marotta- hanno utilizzato un loro software per ripristinare l’uso”. Marotta conferma il numero delle pen drive, cioè cinque, ma “non disconosce il contenuto all’interno di una delle pen drive sequestrate”.

Il pubblico ministero ha poi chiesto al Marotta le ragioni della conoscenza con Salvatore Morreale di Favara. “Era un cliente della Edilmar e ha acquistato materiale edile perché lui effettuava lavori per l’acquedotto Grammauta”.

Il processo si è diviso in due tronconi. Mentre Marotta ha scelto di essere processato col rito ordinario, gli altri imputati hanno scelto il rito abbreviato. Queste le condanne emesse a giugno scorso dal Gup del Tribunale di Palermo Lorenzo Jannelli.

Diciotto anni di reclusione al boss campobellese, Giuseppe Falsone (20 anni di carcere era stata la richiesta del Pm Giuseppe Fici); 8 anni e 8 mesi di reclusione per Salvatore Morreale, 42 anni, di Favara (14 anni), Antonino Pirrera, 59 anni, di Favara (12 anni); 8 anni di reclusione per Carmelo Cacciatore, 47 anni, di Agrigento (10 anni), e Francesco Caramazza, 38 anni, di Agrigento (10 anni); 6 anni di carcere per Calogero Pirrera, 73 anni, di Favara (12 anni), e Liborio Parello, 41 anni, di Agrigento (10 anni); 2 anni e 8 mesi di reclusione per Giuseppe Maurello, 42 anni, di Lucca Sicula (6 anni), e Antonino Perricone, 41 anni, di Villafranza Sicula, (6 anni). Unico assolto Giovanni Vinti, 42 anni, di Ribera (10 anni la richiesta del Pm). 

Il collegio difensivo era composto dagli avvocati, Giovanni Castronovo, Angelo Nicotra, Maria Alba Nicotra, Salvatore Pennica,
Raimondo Tripodo, Nino Zanghi’, Laura Mossuto e Lillo Fiorello.

L’inchiesta “Maginot” condotta dalla Squadra mobile di Agrigento, con il coordinamento della Dda di Palermo, ha consentito di individuare i “picciotti” e i capi “famiglia” al servizio di Falsone, e i ruoli operativi che costoro avevano assunto nel periodo di latitanza del boss campobellese. All’indomani della cattura a Marsiglia, nel giugno del 2010, gli investigatori sono risaliti ai cosiddetti “canali sicuri”. Con i suoi fedelissimi Falsone comunicava tramite Skype e Internet. E proprio il web ha fornito ai poliziotti il primo aggancio che ha poi svelato la rete dei fiancheggiatori. Carmelo Marotta è stato il primo nome a saltare fuori dalla documentazione trovata
al boss. E’ lui che, insieme con Salvatore Morreale, avrebbe fornito le due identità false utilizzate dalla primula rossa agrigentina in Francia. Oltre a garantirgli protezione, gli imputati avrebbero portato avanti le attività delinquenziali, mettendo le mani sulla realizzazione di opere pubbliche, centri commerciali e altri grossi appalti.

 

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