CUTRO’: “PER UNA SETTIMANA LASCIATO AL PERICOLO IN CALABRIA”. LA DURA DENUNCIA DEL TESTIMONE DI GIUSTICIA
“Per una settimana sono rimasto in Calabria senza scorta e senza alcuna protezione, alla mercé di malintenzionati che avrebbero potuto agevolmente far male a me e ai miei familiari”.
Con questa frase shock inizia il lungo racconto della vacanza che la settimana scorsa il testimone di giustizia Ignazio Cutrò aveva regalato alla famiglia dopo anni di paura e tensione, e che in breve si è trasformata in un incubo che ora Cutrò denuncia con forza.
“Succede che dopo anni di privazioni, isolamento ho deciso di regalare alla mia famiglia una settimana di serenità, di relax estivo lontani dalla Sicilia pur senza far venire meno i criteri di sicurezza. Ebbene è successo che accompagnati ed adeguatamente scortati nella località balneare siamo stati lasciati completamente soli. Il personale di scorta resosi conto che non ci avrebbe preso in carico nessuno, e che nessuna scorta era stata predisposta dalle autorità competenti del territorio di Crotone avevano contattato il maresciallo competente di origine per chiedere lumi ma la risposta era stata chiara: lasciate la famiglia Cutrò e tornate in Sicilia”.
“Un soggiorno, quello in Calabria, comunicato con congruo anticipo, come sempre, agli organi preposti”, precisa Cutrò.
“I Carabinieri di Crotone, però, sostengono che all’interno della struttura alberghiera non è necessaria alcuna protezione”.
Struttura che secondo quanto denuncia Cutrò, “spesso era con i cancelli di accesso aperti e che non disponeva di un controllo all’ingresso; chiunque, scoperto che lì si trovava il testimone e la sua famiglia, avrebbe con calma potuto fare una strage”.
“Dopo ore di silenzio ricevo la chiamata di un interlocutore che si identifica come appuntato dell’Arma che mi dice non mi proteggeranno in albergo e che si faranno vivi solo se io avessi dovuto spostarmi da lì. Gli comunico che reputo questa cosa rischiosa e che avrei chiamato il Ministero. Guarda caso, dopo questa mia frase, l’uomo mi ha raggiunto in albergo e mi ha detto che eravamo in imminente pericolo e che dovevano spostarci da lì. Ma come: prima ci lasciano da soli, senza tutela alcuna, e poi improvvisamente, dopo che mi ero lamentato con il funzionario della Commissione centrale di protezione, siamo a rischio e ci vogliono nuovamente ‘deportare’? Sentito il funzionario, infatti, i militari ricevono conferma che possiamo rimanere dov’eravamo e dove sono rimasto fino a questa mattina, senza mai vedere nemmeno per sbaglio carabinieri, né in uniforme né in borghese”.
“Io devo ringraziare i mafiosi distratti e il caso se la nostra vacanza non si è trasformata nel nostro funerale” racconta ancora scosso Cutrò.
“Il testimone di giustizia, tra i più importanti in Italia, è intenzionato a portare fino in fondo quanto accaduto, “perché – dice – non è possibile che in terra di ‘ndrangheta io e la mia famiglia veniamo lasciati senza alcuna protezione, e invece, per esempio, a scortare il presidente della Repubblica in vacanza ci siano almeno dieci carabinieri. Qual è la differenza tra me e lui? Non abbiamo pari dignità? Io ho combattuto la mafia, quella vera, forse rischio qualcosa in più di lui” spiega Ignazio.
Immediatamente sono arrivati attestati di stima e solidarietà ad Ignazio da parte di due importantissimi testimoni di giustizia come Piera Aiello e Giuseppe Carini che lo hanno raggiunto in Calabria appresa la notizia: R32;“Dopo il balletto delle competenze, del rischio improvvisamente conclamato ed altrettanto improvvisamente scomparso, Cutrò e famiglia rimangono soli a se stessi. A testimoniare che tutto questo è realmente accaduto ci sono io, Piera Aiello, che ho vissuto in prima persona perché presente a tutta la pantomima. Mi chiedo se anche in questa assurda situazione il ministero dell’Interno avrà il coraggio di rispondere lamentando, la pretesa peraltro del tutto destituita di fondamento, questioni di richieste di denaro dei testimoni o se raccogliendo gli ultimi scampoli di dignità rimasta al ministero degli Interni avrà l’onestà intellettuale di affrontare seriamente la questione dei testimoni di giustizia” ha detto con una nota la Aiello.
A lei fa eco Giuseppe Carini, testimone nel processo a carico degli assassini di Don Pino Puglisi: “Quanto è accaduto a Ignazio Cutró non è un fatto accidentale e isolato, ma il segno dell’abbandono. A fronte di una figura così pulita e trasparente come Ignazio, siamo tutti chiamati a percorrere la stessa strada “per andarlo a trovare”.
“Che non sia un caso isolato ne è prova il fatto che sono personalmente protagonista, mio malgrado, di una vicenda che mi ha scosso quando, in occasione dell’anniversario della morte di Rita Atria, sono stato aggredito e malmenato. Noi testimoni di giustizia non siamo paladini, non siamo eroi tantomeno sudditi ma semplici cittadini che chiedono di continuare ad esercitare i propri diritti di cittadinanza alla luce del sole, se non altro perché questa libertà ce la siamo guadagnata. Siamo consapevoli che per avere fatto il nostro dovere, siamo condannati a morte, ma alla paura della morte oggi prevale l’isolamento e la solitudine nella quale lo Stato ci ha confinato. La morte fa paura, ma la paura di un destino ad oggi quasi ineluttabile ci uccide ogni giorno”.