Braccio di ferro tra Procura Dda e Tribunale: di mezzo l’impero turistico di Mangia

Una partita giudiziaria aperta dove in campo c’è il rigetto della richiesta di sequestro delle proprietà della famiglia Mangia, avvenuta lo scorso novembre. I magistrati della Direzione distrettuale antimafia hanno impugnato la decisione delle misure di prevenzione del Tribunale presentando il ricorso in appello
PALERMO- Al centro del ring tra la Procura antimafia e il Tribunale c’è il patrimonio della famiglia Mangia, l’impero turistico creato dall’imprenditore Antonio Mangia, deceduto. Oggi la questione è ripresa dal Giornale di Sicilia con un articolo a firma di Fabio Geraci, ma anche da LiveSicilia. Il contendere tra Procura e Tribunale è la confisca del patrimonio del gruppo alberghiero fondato da Antonio Mangia. Un colosso del turismo le cui redini sono in mano agli eredi. Il Gds riporta una nota degli eredi. “colosso dell’industria turistica siciliana, oggi in mano agli eredi che hanno replicato attraverso una nota. “La proposta, a carico di soggetti e imprese terzi ed estranei a ogni addebito – scrivono gli avvocati Fabrizio Biondo, Giovanni Di Benedetto, Enrico Cadelo, Franco Di Trapani e Renato Canonico – è del tutto destituita di fondamento, come ha già riconosciuto puntualmente il tribunale di Palermo rigettando la proposta di sequestro per gli eredi di Antonio Mangia. Siamo certi che non ci saranno ulteriori conseguenze e nocumento per soggetti e aziende noti per rigore e trasparenza”. Risale agli anni settanta la scalata dell’imprenditore Antonio Mangia, fondatore del colosso Aeroviaggi Spa, diventato uno dei più importanti tour operator italiani. Investimenti nel settore alberghiero in Sicilia e Sardegna fecero decollare il gruppo che accumulò un ingente patrimonio. Secondo il procuratore Maurizio de Lucia, l’aggiunto Marzia Sabella e il sostituto Francesca Dessì, Mangia sarebbe stato “il riservato imprenditore di riferimento di Cosa nostra” e, in particolare, con esponenti mafiosi di primo piano della fazione corleonese, sostenendo che il suo impero si sarebbe fondato su capitali illeciti e sulla protezione dei clan. Il GdS riporta che il nome di Mangia, era emerso in un pizzino scritto da Totò Riina e sequestrato nel 1993 all’autista del capo dei capi, Salvatore Biondino. Le prove, tuttavia, non avevano convinto il Tribunale e i giudici, nel decreto con cui è stata respinta la richiesta di sequestro, avevano smontato il quadro accusatorio: “Non risulta l’immissione di capitali illeciti nelle imprese – riporta il GdS citando la sentenza- né è stata dimostrata alcuna forma di intromissione di Cosa nostra nella gestione delle attività imprenditoriali di Mangia”. Secondo il Tribunale, i rapporti con esponenti mafiosi sarebbero stati riconducibili a semplici frequentazioni o coincidenze senza elementi concreti che dimostrassero una collusione stabile con l’organizzazione criminale. Inoltre è stato sottolineato come Mangia non fosse mai stato indagato, né processato per reati legati alla criminalità organizzata, riporta il GdS.