Mafia agrigentina, i retroscena dopo gli arresti. Dalla cella partivano gli ordini per attentati incendiari, intimidazioni e spedizioni punitive
Emergono retroscena dopo l’operazione antimafia condotta dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento e coordinata dalla Dda di Palermo, culminata con 51 misure di custodia cautelare emesse dal Gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio
AGRIGENTO- La cella del carcere non era un ostacolo per impartire “ordini” all’esterno per il 32enne empedoclino, molto noto alle forze dell’ordine, pluripregiudicato ed esponente di spicco della criminalità organizzata agrigentina, uomo di fiducia di un capomafia detenuto al 41 bis e che era nelle sue grazie per aver intrecciato una relazione sentimentale proprio con la figlia del boss. Ai vertici, secondo gli inquirenti, vi sarebbero stati Fabrizio Messina e Pietro Capraro. Il 32enne, condannato per traffico di droga, dalla sua cella avrebbe ordinato attentati incendiari, gesti intimidatori, spedizioni punitive e altre “direttive” non certo la libro Cuore. In carcere ad Augusta, disponeva di un cellulare per dare seguito e controllare le dinamiche della criminali agrigentine. Telefonino che successivamente, nel corso di una perquisizione, gli venne sequestrato. Il retroscena emerge dopo l’operazione antimafia di qualche giorni fa condotta
dai carabinieri del comando provinciale di Agrigento e coordinata dalla Dda di Palermo, culminata con 51 misure di custodia cautelare emesse dal Gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio. Operazione antimafia che ha azzerato una presunta organizzazione criminale affiliata a Cosa nostra e in particolare alle famiglie mafiose di Porto Empedocle e di Agrigento-Villaseta.
Ai vertici, secondo gli inquirenti, vi sarebbero stati Fabrizio Messina e Pietro Capraro. Secondo gli inquirenti, utilizzando quel cellulare, il 32enne, dal carcere avrebbe dato l’ordine, ad un gregario, che aveva subito l’incendio del suo furgone, di gambizzare un appartenente alla famiglia mafiosa contrapposta. Era necessario colpire i vari componenti del gruppo di Villaseta. Una vendetta da mettere in atto al volo ma che non andò a buon fine per la presenza di alcune pattuglie delle forze dell’ordine.
Tra i due clan contrapposti vi era alta tensione ed era grosso il rischio che potesse scoppiare una guerra di mafia. Clan molto pericolosi che disponevano di arsenali. Uomini d’onore e fedelissimi, si esercitavano in contrada Fondacazzo. Era lì che provavano le armi, sparando ai cartelli stradali. Nell’abitazione di un netturbino di 48 anni, venne rinvenuta una vera e propria santabarbara. In particolare, decine di cartucce di vario calibro, una mitragliatrice, una pistola a tamburo, due revolver, una pistola mono-colpo (cosiddetta Penna-pistola), una granata con spoletta inserita e non ancora attivata e diversi caricatori. Le due organizzazioni mafiose anche di ingenti quantitativi di denaro. Lo stesso netturbino che deteneva le armi, lo scorso novembre, era stato fermato, dalla sezione radiomobile dei carabinieri di Licata, lungo la strada statale 115, a bordo di un Fiat Tipo, in compagnia di un altro presunto affiliato, e trovato con 120 mila euro in contanti, somma ritenuta provento degli affari illeciti gestiti dalla famiglia di Agrigento. Famiglia mafiosa che gestiva anche un fiorente traffico di sostanze stupefacenti.