L’odissea giudiziaria di Elina Salomone contro il Comune. Dopo 12 anni le sue ragioni confermate dalla Cassazione
Una vicenda lunga dodici anni, una lite giudiziaria “cercata” dall’amministrazione di allora e della quale si poteva fare a meno se solo fosse emersa la logica e il buon senso di chi amministrava. Ma soprattutto, se si fosse proceduto con scienza e coscienza, ma anche con l’obiettivo di produrre un atto amministrativo legittimo. Il risultato è una lotta persa per il Comune, e tantissimi soldi spesi in avvocati esterni
SCIACCA- Dodici anni di lotte giudiziarie tra la dottoressa Elina Salomone e il Comune di Sciacca. Una inutile guerra dichiarata che calpesta i diritti, la giustezza nel produrre atti amministrativi. Ma anche la prova provata che spesso l’aspetto “ideologico” va ben oltre la meritocrazia, anzi la calpesta. Di certo, hanno sottovalutato la fermezza del carattere di una donna non disposta a tollerare ingiustizie, abusi, soprusi. Tale fermezza di Elina Salomone è arrivata fino alla Cassazione, l’ultimo livello di giustizia. Una lite giudiziaria che Elina Salomone ha affidato al suo legale, l’amministrativista Ignazio Cucchiara che ha colto sin dall’inizio l’assurdità di un atto amministrativo. Due forze che si sono unite per ristabilire la giustizia, quella del forte e determinato carattere di Elina Salomone e della indiscussa professionalità dell’avvocato Ignazio Cucchiara. Ovviamente, una lite giudiziaria così lunga ha comportato ingenti esborsi per le consulenze dei legali esterni a cui il Comune si è rivolto. Spese ingenti a cui deve aggiungersi il risarcimento danno a favore della dottoressa Salomone. Spese, ovviamente, che pagheranno i cittadini.
Tutto ha inizio con la pubblicazione di un bando interno per il ruolo di dirigente del settore dei Servizi Sociali e Demografici
L’inizio avviene nel 2010 quando “la parte datoriale”, il Comune, manifestava l’intenzione di procedere “previa comparazione delle domande” all’assegnazione dell’incarico di dirigente del Settore Servizi Sociali e Demografici. Il bando richiedeva come titolo accademico la laurea, non specifica, e l’appartenenza al settore medesimo, ossia Servizi Sociali e Demografici. Si evidenzia che Elina Salomone ricopriva il ruolo di Capo Ripartizione Attività Sociali. Ovviamente, manifestava ufficialmente la disponibilità a ricoprire il ruolo messo a bando. E insieme a lei hanno manifestato disponibilità altri candidati. A fine luglio dello stesso anno, il Comune ritira il bando per ripubblicarlo, con un autentico bis, cioè senza apportare modifiche. Un’altra stranezza sta nel pubblicarlo con una scadenza di 3/4 giorni che includono anche un sabato e una domenica. Avviene anche che il Comune mette in essere una disposizione con cui concretizza una “mobilità” interna, spostando una funzionaria da un settore verso, appunto, il servizio per il quale il Comune intende affidare il ruolo di dirigente.
Nel bando, ricordiamo, è specificato che si procede a comparazione dei titoli. La Salomone inoltra richiesta per avere copia della comparazione ma nessuno riscontro le viene da parte del Comune. La stessa Salomone chiede la revoca in autotutela dell’atto di nomina, poichè il Comune aveva già provveduto alla nomina. Ovviamente, non avviene la revoca in autotutela. Da qui si innesta la lite giudiziaria, la lunga lite che attraversa i tre livelli di giudizi e che si conclude in Cassazione. In primo grado, a Sciacca, il tribunale accoglie il ricorso della Salomone a condanna il Comune. L’ente ricorre in Appello. I giudici danno ragione al Comune lamentando che la Salomone è in possesso della laurea in psicologia e non in giurisprudenza. Ma qui è opportuno che il bando non richiedeva una specifica laurea, dunque, in giurisprudenza. Ma una laurea. I giudici d’Appello, dunque, decidevano che la Salomone con la laurea in psicologia non poteva accedere al ruolo di dirigente del settore Servizi Sociali e Demografici. Ovviamente, il difensore della Salomone, Ignazio Cucchiara, impugnava la sentenza d’Appello ricorrendo in Cassazione. Il massimo livello di giudizio ribaltava la sentenza di secondo grado imputando le spese al Comune, Inoltre, la Cassazione riportava in Appello la vicenda per la quantificazione del danno.
Debito fuori bilancio
La vicenda è finita a favore di Elina Salomone. Tutte le spese e il risarcimento danno è a carico del Comune, quindi dei contribuenti. Il tutto è stato riconosciuto come debito fuori bilancio dal Consiglio comunale con delibera n. 22 del 12 febbraio scorso. Curiosità statistica: sono passati i sindaci Vito Bono, Fabrizio Di Paola, Francesca Valenti, entrando nell’era Termine.