Israeliani contro palestinesi: “Quel mio incontro con Arafat nel 1974”

PALERMO- DI CALOGERO PUMILIA

Come una tragica parodia del calcio, ci si deve schierareO da una parte o dall’altra. O per gli israeliani o per i palestinesi. O per il bene o per il male. Quasi che l’uno e l’altro alberghino in siti diversi e nettamente distinti. Così finisci per sentirti prigioniero, quasi partecipe e complice involontario di una radicalizzazione sempre più netta e inconciliabile.

Mi potrei fermare qui, respingendo l’inesorabile logica dell’aut aut, di un’alternativa senza conciliazione che risolutamente nega, combatte e perseguita o aderisce in modo assoluto. Eppure mi viene voglia di riproporre ciò che da tempo dice l’ONU, quello che scrivono ancora in questi giorni diversi giornali israeliani, molti cittadini e intellettuali di quel paese sulle scelte di Netanyahu, sugli insediamenti e su quant’altro è capitato nel corso degli ultimi decenni.

Al termine del colloquio, quando stavamo per accomiatarci, il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina quasi gelandoci ci ricordò che il regno di Gerusalemme, sorto nel 1099 per iniziativa dei crociati, era durato meno di cento anni. Ancor meno, aggiunse, sarebbe rimasta la presenza degli israeliani in quella terra. Il giorno successivo l’intera delegazione di parlamentari provenienti da diversi Paesi europei fu in visita al campo profughi di Sabra e Shatila, quello dove sette anni dopo i falangisti cristiani, alleati di Israele, avrebbero compiuto una mostruosa strage.

La storia che, come è noto, non insegna nulla ma che a volte si ripete tragicamente, ha visto formarsi e prevalere il gruppo terrorista di Hamas con l’obiettivo di distruggere Israele, lo Stato imposto dall’ONU nel 1948, ancora sull’onda della inenarrabile vicenda della Shoah. Dall’altra parte gli attuali successori di Rabin hanno finito per impedire di fatto la costituzione di due Stati e di due popoli che trovino convivenza e collaborazione.