Relazione semestrale della Dia: “Famiglie agrigentine in affari con la mafia brasiliana”

AGRIGENTO- La nuova relazione della Dia, la Direzione investigativa antimafia, trasmessa al Parlamento per il secondo semestre 2022, conferma lo stato delle cose già rappresentate nelle precedenti relazioni con il radicamento della Stiddra e delle “famiglieddre”, lo strapotere della mafia rispetto ad altre organizzazioni criminali e i “tentacoli” oltre oceano.

“Ad Agrigento – si legge – continua a registrarsi l’operatività anche della stidda e di altri sodalizi para-mafiosi, come paracchi e famigghiedde. Tuttavia, ancora oggi la principale consorteria mafiosa resta sempre cosa nostra, articolata in 7 mandamenti (Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro) nel cui ambito opererebbero 42 famiglie”.

Una mafia, secondo la Dia, che è “ancorata alle tradizioni” ma che “cerca di mutare strategia preferendo le pratiche corruttive all’uso della violenza, benché tra alcune articolazioni nel tempo si siano registrati contrasti interni che hanno generato azioni violente”. Tra i casi di sangue citati, l’omicidio del 31 ottobre di Angelo Castronovo.

La criminalità organizzata varca i confini: “Negli ultimi anni, si sta assistendo anche al peculiare fenomeno dell’emigrazione criminale, basato sulla determinazione dell’organizzazione agrigentina di trasferire i propri interessi illeciti al di fuori dei tradizionali confini provinciali – si legge ancora -. Molteplici, infatti, sono le risultanze investigative che hanno comprovato l’operatività di criminali agrigentini in altri contesti territoriali italiani ed esteri, indipendenti dalle dinamiche della provincia”.

In tal senso la Dia rivela che in Brasile risultano “proiezioni di consorterie della provincia di Agrigento” che farebbero affari con la più importante organizzazione criminale di quel territorio, il “Primeiro Comando da Capital”.

Tornando in Sicilia, la Dia evidenzia come siano stati numerosi nel periodo di riferimento gli episodi di estorsione a danno delle attività imprenditoriali “a conferma che le mafie agrigentine non rinunciano al racket quale valido strumento per ‘rimpinguare’ le ‘casse’ dell’organizzazione e per continuare a esercitare forme pervasive di controllo del territorio”.

“Anche ad Agrigento – continua la relazione – figurano episodi di corruttela che vedono coinvolti imprenditori, politici e mafiosi nel costante tentativo di infiltrare e condizionare gli apparati burocratico-amministrativi”.