AGRIGENTO- Tornare a parlare di AICA, la società consortile pubblica che ha come soci i Comuni dell’agrigentino e nemmeno tutti (mancano incredibilmente ancora Camastra e Palma di Montechiaro), e che è succeduta a Girgenti Acque nella gestione del servizio idrico integrato, significa riprendere le note dolenti di un servizio tutt’altro che efficiente, di un rapporto con l’utenza molto problematico, di una condizione finanziaria terribile e di un reclutamento del personale molto discutibile sul piano della legittimità.

Ma andiamo con ordine. Nonostante i proclami ed il battage autoreferenziale che ha caratterizzato la fase costitutiva della società pubblica, che avrebbe dovuto rappresentare un fulgido esempio di gestione manageriale ed efficiente del servizio idrico in tutto il territorio agrigentino, è sotto gli occhi di tutti quale sia lo stato della gestione stessa, che vengono rimarcati da questo giornale da molto tempo ma anche da tutti gli altri media. O quasi.

A noi pare però che la stessa autoreferenzialità si stia ripetendo con il nuovo organo amministrativo: appena il 24 giugno scorso il nuovo presidente ha dichiarato di voler risanare il bilancio, ridurre gli sprechi, dare gli strumenti giusti ai lavoratori ma soprattutto voler “essere ambiziosi”.

A noi basterebbe molto meno: l’eliminazione delle erogazioni senza certezza e senza programmazione, la fine dei rinvii dei turni decisi all’ultimo momento, l’aumento di una fornitura idrica che invece è sempre più ridotta, la fine dello spreco delle perdite sulle strade cittadine che provocano anche danni al manto stradale.

I cittadini vivono una condizione inaccettabile aggravata dal fatto che Sciacca dovrebbe essere una destinazione turistica ormai matura ma che si presenta, certamente e non solo per responsabilità di AICA, come una specie di Beirut.

In un’intervista rilasciata ad un giornale on line agrigentino il presidente Cantone ha affermato testualmente che “ognuno deve fare la sua parte e non è nostra intenzione mettere le mani nelle tasche dei cittadini aumentando le bollette, né scaricare sui bilanci dei Comuni l’onere del risanamento del bilancio”.

Ma allora come risanare il buco milionario di AICA? Immaginiamo che il desiderio sia sempre lo stesso: fare i manager con i soldi – a fondo perduto – di mamma Regione. Operazione impossibile: lo abbiamo detto e lo ribadiamo, non possono esserci aiuti finanziari per le aziende pubbliche perché lo vietano i regolamenti comunitari.

Il disavanzo che emerge dai dati contabili di bilancio ammonta a poco più di 4 milioni e 300 mila euro (430 volte superiore al capitale sociale di AICA) ma nessuna certezza è stata fornita circa la stabilizzazione finanziaria che conseguirebbe nel tempo all’appianamento di questa perdita, anche perché se la gestione prosegue, e prosegue in perdita, a disavanzo si aggiungerebbe disavanzo. AICA dovrebbe elaborare un business plan, almeno triennale, da spiegare e rendere pubblico, per esporre come sotto il profilo della tecnica gestionale – e non a parole – la società consortile dovrebbe guadagnarsi il diritto di continuare ad operare.

E torniamo alla vicenda del personale sulla quale è calato un silenzio diffuso e trasversale, segno che magari ogni parte politica ritiene di dover fare a meno di intervenire e si comprende benissimo perché.

Qui bisogna rispolverare il D. Lgs. n. 165/2001 che all’art. 35 prevede per il reclutamento l’obbligo di procedure selettive pubbliche rivolte ad un oggettivo accertamento delle conoscenze e della professionalità dei soggetti da assumere secondo un’adeguata pubblicità, l’adozione di misure di selezione adeguate e trasparenti, che garantiscano in misura equa anche l’accesso dall’esterno. Cosa ne è stato di queste previsioni?

Proprio una recente sentenza della Cassazione (la 21621 del 2022 che ha riguardato la società regionale SEUS, quella del 118 per intenderci), ha stabilito che le procedure di reclutamento nelle società pubbliche sono imposte da “disposizioni inderogabili e costituiscono formalità necessarie per l’instaurazione del rapporto alle dipendenze delle società controllate, rapporto del quale condizionano la validità”, ma in tal senso sentenze se ne trovano a iosa: l’ordinanza n. 89 del 03.01.2023, con la quale la Cassazione afferma che, nelle società a partecipazione pubblica, la selezione del personale – incluso quello dirigenziale – deve essere preceduta dall’esperimento di procedure concorsuali. Il Consiglio di Stato che ha precisato che per l’assunzione del personale ha una valenza assoluta il rispetto dei principi di cui agli artt. 97 e 98 Cost. e che pertanto, le società controllate da enti pubblici e che erogano servizi pubblici dovevano «impiegare selezioni imparziali, trasparenti, pubbliche, ancorate a sistemi oggettivi e predeterminati, a garanzia non solo di chi vi partecipa, ma anche dei terzi, destinatari dell’attività societaria. In sostanza anche per le società a partecipazione pubblica che erogano servizi di interesse generale si pone l’esigenza di adottare procedure di assunzione idonee a selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti loro affidati»; l’ordinanza n. 3768 del 7 febbraio 2022, con la quale la Cassazione ha statuito che, in tema di società a totale partecipazione pubblica, sussiste il divieto di assunzione in mancanza di esperimento delle apposite procedure concorsuali e selettive secondo i criteri stabiliti dall’articolo 35, D.Lgs. 165/2001, e via discorrendo.

Quindi la situazione è tutt’altro che definita e meraviglia che gli organi preposti al controllo non abbiano obiettato nulla.

Occorre infine sempre ricordare che le società a partecipazione pubblica sono soggette alle disposizioni sul fallimento (art. 14 del D. Lgs. n. 175/2016) ed alla normativa sulla responsabilità amministrativo contabile dei suoi organi e dipendenti, ossia alla giurisdizione della Corte dei Conti.

Insomma all’orizzonte per gli utenti del servizio idrico integrato, non si vede nulla di positivo, mentre crediamo che nella percezione della gente stia definitivamente tramontando quell’atteggiamento dogmatico che vuole a tutti i costi una gestione pubblica della eduzione e distribuzione dell’acqua e del sistema di gestione dei reflui.

Filippo Cardinale