Tra Corte dei Conti e PNRR, chi ha ragione tra Governo o magistratura contabile?
L’OPINIONE DI ALFREDO AMBROSETTI
Da qualche tempo è in corso un articolato dibattito tra i vari schieramento politici sulla possibilità di ridurre o eliminare i controlli della Corte dei Conti sull’attività amministrativa connessa con la realizzazione del PNRR che, come si ricorderà, è quello strumento di ripresa e rilancio dell’economia introdotto dall’Unione europea per sostenere le perdite causate dalla pandemia nei vari paesi dell’Unione stessa.
Da alcuni giorni questa modifica del sistema dei controlli da parte della Corte erariale, soltanto di quelli preventivi e concomitanti (cioè simultanei), è stata approvata dalla Camera con la modifica al decreto legge sulla Pubblica Amministrazione, che li esclude per le operazioni del PNRR e del Piano Nazionale Complementare.
Per la verità è stato inoltre prorogato di un anno, fino al 30 giugno 2024, lo scudo che impedisce la contestazione del danno erariale per colpa grave, ma questa è un’altra cosa.
Il dossier sarà ora discusso in un “tavolo comune” tra il governo e la Corte dei Conti ma una gran parte dei magistrati contabili ha già dichiarato di essere contraria a questa riduzione od eliminazione.
Chi ha ragione?
Io sono del parere che in linea di massima tutti i controlli preventivi e concomitanti dovrebbero essere aboliti, perché nella sostanza danno potere solo a chi li esercita; e questo in ogni campo: dal commercio all’edilizia, dall’economia all’urbanistica fino alla gestione dei bilanci, ed essere sostituiti da controlli successivi e finali sui quali concentrare le verifiche e le valutazioni sull’economicità, l’efficienza e l’efficacia ma anche sulla legalità e legittimità delle condotte amministrative e gestionali mantenute dai soggetti convolti ai vari livelli.
E’ chiaro che devono restare in piedi quelli disposti da norme di rango costituzionale.
Evidentemente questo “spostamento” dei controlli genererebbe due importanti risultati: la velocizzazione delle azioni di governo ad ogni livello (nazionale, regionale, comunale) e soprattutto la responsabilizzazione diretta e personale dei soggetti coinvolti nei diversi livelli con tali azioni.
Facciamo un esempio a noi più vicino per rendere chiara la mia affermazione: l’attivazione di una attività commerciale, il rilascio di un permesso edilizio, l’esistenza della compatibilità ambientale per un intervento, la copertura di una spesa rispetto alla previsione di bilancio, ossia la verifica della compatibilità di queste attività con l’interesse pubblico sotteso, così come ogni altra attività che preveda un intervento autorizzatorio di natura pubblica, deve essere preventivamente soltanto comunicato e controllato successivamente.
Se dovessimo usare il linguaggio della gestione aziendale potremmo dire di un passaggio dai controlli di processo a quelli di prodotto.
Questo sistema coinvolge, come detto, le responsabilità di diversi soggetti, il consulente commerciale e fiscale, il tecnico libero professionista, i dirigenti ed i funzionari pubblici preposti alla gestione finanziaria, ed altri, nel senso che sono loro che devono asseverare la conformità di quanto si intende fare o realizzare o la compatibilità di una spesa rispetto al bilancio, assumendo ogni responsabilità sulla veridicità delle loro dichiarazioni con gravi conseguenze, penali, amministrative, erariali ed anche civili nei casi di asseverazioni inesatte e non veritiere.
Sono dell’opinione che nessun professionista o nessun dirigente o funzionario consapevole delle gravi conseguenze delle proprie erronee asseverazioni rischierebbe la propria professione o il proprio posto di lavoro; peraltro per dirigenti e funzionari la responsabilità scatterebbe anche nelle ipotesi di omissione o ritardo degli atti di ufficio ai quali sono obbligati.
Per tornare in conclusione alla Corte dei Conti devo anche dire che meraviglia questa opposizione. Sgravare i giudici contabili del fardello dei controlli preventivi e concomitanti, così come da quello ormai anacronistico e notevole carico di lavoro del giudizio pensionistico dei dipendenti pubblici il cui rapporto di lavoro è ormai da tempo privatizzato e che dovrebbe quindi essere trasferito alla competenza del giudice del lavoro, garantirebbe ampi spazi al controllo successivo e finale, quello vero, quello connesso con la verifica del raggiungimento dell’interesse pubblico, che è la causa tipica e fondamentale dell’azione amministrativa.
Quindi non pare sia così eversiva la soluzione proposta.