“L’ultimo ricordo”, il libro di Daniela Tornatore. Quando l’amore non scorda mai
CASTELVETRANO- L’amore è un sentimento incancellabile. Quando esso sboccia, matura, si coltiva. E amare è donarsi totalmente all’altro, senza contabilità a partita doppia. L’amore supera le prove più dure della vita, e seguita nell’eternità poiché esso non muore mai. Sabato 17 giugno a Castelvetrano, alle ore 18 nel teatro di San Giovanni, sarà presentato il libro di Daniela Tornatore, “L’ultimo ricordo”. Con la scrittrice dialogherà la giornalista Jana Cardinale, mentre a moderare la conversazione sarà Bia Cusumano. Le letture sono di Sonia Giambalvo. Una iniziativa della Palmosa Fest.
Profonda e intensa, ma anche emozionante, è la prefazione della scrittrice e poetessa Bia Cusumano.
Certi libri non si leggono. Si bevono, si masticano, si divorano. Come se una fame primordiale, atavica ti portasse ad ingoiare le parole per respirare, per nutrirti e sopravvivere. Così mi è accaduto poche volte e di libri ne tocco tanti, ne leggo tanti, ne presento tanti. Quando accade è sempre un miracolo laico. Una improvvisa meraviglia che ti prende lo stomaco, le viscere, gli organi tutti. Il libro finisce tra i tuoi occhi ingordi e le tue mani che sfogliano le pagine ma la fame resta. Mi è accaduto con il libro di Daniela Tornatore. Già quando ho tenuto tra le mani la copertina con le rose rosse che gradualmente sfumano. Chi mi conosce sa bene che la rosa rossa è il mio simbolo. Poi il titolo: L’ultimo ricordo. Qualcosa dentro si stringe in un nodo inspiegabile. Leggo o meglio bevo il libro tutto in un pomeriggio. Non esistono soste o pause nella bellezza. Quando ci entri dentro è come un vortice che ti trascina.
E ’un pomeriggio di quelli in cui l’estate ancora fa i capricci per arrivare, silenzio intorno. Io e il libro di Daniela. Ci sentiamo poco prima e le dico che uscita dal Liceo, leggerò il suo romanzo. Lei mi risponde: “Emozionati, hai mio figlio tra le mani.” E’ un figlio straordinario, come tutti i figli fatti di parole per chi scrive. Vi è impressa anima, sudore, passione, studio, fatica, stupore, anni di vita. Il libro di Daniela Tornatore ha però quella magia arcana che ti porti dentro, addosso, sotto pelle. Non sai neanche dirlo il perché. Sì, puoi raccontare la storia, puoi sviscerarne i protagonisti, affrontare per ore la tematica delicata al centro di questo testo, ovvero l’Alzheimer e scendere negli abissi di questo amore che attraversa i decenni tra Anna e Paolo, i protagonisti del libro. Puoi immaginare finanche che la giornalista presente nelle pagine del romanzo sia l’alter ego di Daniela: la sua vita fatta di corse, inchieste, servizi, pc, penne e infinite parole. Sì, tutto vero ma non è solo questo. Nel libro vi è una forza emotiva, passionale oserei dire che tutto e tutti travolge.
Il lettore ne viene catturato e rapito. Un dolce sequestro d’anima. Il modo in cui la scrittrice che è anche una bravissima giornalista, narra l’amore, non è semplicemente prosa. Vi si annida la percezione di chi certe cose le ha dovute vivere profondamente per poterle scrivere così. Certi passi del testo sono poesia in prosa. Questo amore così tenace come edera e così infelice che è appartenenza esclusiva per Anna e allo stesso tempo rimpianto di felicità per Paolo non è altro che un inno all’amore che resta. L’amore che resta sotto pelle. Per cui, puoi andare avanti nella vita, fare carriera, sposarti anche con un’altra persona, mettere al mondo figli ma quell’amore resta. Una Itaca sommersa. E se neanche l’Alzheimer può sradicarlo, allora l’amore può vincere anche su una orribile patologia che corrode la memoria, liquefà i pezzi della vita, conduce inesorabilmente all’incoscienza, alla inconsapevolezza e poi lentamente alla morte.
E’ Anna la protagonista a cui Daniela affida con una delicatezza struggente e disarmante questo messaggio. Anna, una donna che ama troppo, senza misure, una con il baricentro sbilanciato sempre avanti, una che non si accontenta. Una donna che definirei una integralista dell’amore: o tutto o niente. Una donna che sa cosa sia l’esclusiva, l’appartenenza, l’unicità. Una donna tenace, forte, intensa. Una donna che non puoi scordare per tutto l’amore che sa darti, perché sa correre da te sempre, p erché nonostante le ferite, i rinnegamenti e le mancanze sa perdonarti. Una donna che ti resta sotto pelle anche se poi non riesci a sceglierla e a tenertela accanto.
Ma i suoi baci restano i suoi baci, i suoi occhi restano i suoi occhi, il suo odore riusciamo a sentirlo perfino noi lettori. La sua forza, la sua caparbietà in questo sentimento ci seduce. Anna non si arrende fino alla fine e quando sembra che si sia arresa a lasciare andare Paolo che non sa sceglierla tutta, perché la sceglie sempre a metà, che non sa amarla con le viscere, la pancia, perché la ama a modo suo ma mai in maniera esclusiva, Anna in fondo non si arrende lo stesso. Una finta resa. Anna custodisce i segreti di quell’amore nella memoria, apparentemente in una scatola, in un reliquario sacro, un tempio suo, in cui continua ad esistere per lei solo Paolo. Paolo che ha sposato un’altra donna, ha fatto carriera, ha messo al mondo un figlio ma non è mai stato felice. Paolo che non è mai riuscito a dimenticare l’intensità dei suoi incontri clandestini con Anna. Quella passione travolgente, quelle pause lunghe mesi e poi anni, quelle scelte giuste o sbagliate che lo hanno portato via da quella donna che lui definisce “sua”.
La scrittrice non mette in atto nessun processo sviscerando questo amore. Paolo non è l’imputato colpevole di non avere saputo amare Anna così come Anna desiderava e meritava. E anche quando Paolo sembra un reo confesso davanti la giornalista che segue il caso straordinario di questo amore attraversato da una orribile malattia, non vi è il giudizio o la condanna da parte della scrittrice sul protagonista che appare pavido, cinico, egoista. Paolo stesso si definisce “stronzo”, perché tradisce, perché non sa appartenere, perché ad Anna non ha saputo dare certezze, stabilità, un futuro. Nei confronti di Paolo così infelice e quasi non all’altezza di un amore così grande, la scrittrice prova una umanissima comprensione e induce i lettori amorevolmente a fare altrettanto. Insomma non vi è nessuna condanna per questo uomo che in fondo è anaffettivo e forse narcisista e nessuno elogio spropositato per questa donna che non sa amare a stille, a gocce, a porzioni, con i misurini. Anna ama nella pienezza e nella appartenenza assoluta, senza possibili deviazioni, nessun pentimento, nessuna altra scelta possibile. Un credo laico fortissimo e radicale.
Vi sono solo due modi diversi di amare, due caratteri umani speculari e opposti, due mondi a confronto. Eppure tra questi mondi che sembrano due rette parallele destinate a non incontrarsi mai, vi è una energia cosmica che non può che tenerle avvinte, allacciate pur segretamente. Energia cosmica: l’amore per la scrittrice è questo. Può vincere perfino su una patologia che annienta gli stessi ricordi.
Quando Anna che viveva nel suo reliquario della memoria, custodendo gelosamente i suoi attimi, i suoi frammenti di felicità si ammala di Alzheimer e la malattia sotto pelle si annida in ogni parte di sé fino ad insinuarsi nei neuroni, nelle sinapsi, nella mente, resta questa alchimia dell’amore, resta questa energia cosmica a tenere custodito e imperituro il segreto di un sentimento che attraversa il tempo. Resta la carezza sulla barba del fisioterapista, perché Paolo portava sempre la barba, resta un sorriso che non si può spiegare scientificamente, resta una lacrima che scende sul volto nel giardino di una struttura ricettiva per ammalati di Alzheimer in cui Anna trascorre i suoi giorni. E in quell’incontro tra i due amanti, la scienza non può che indietreggiare. Vi sono solo un uomo e una donna che si sono amati per una vita intera, in modo diverso ma si sono amati. Un uomo e una donna che hanno vissuto finanche nella stessa città, che sono andati avanti ma sono rimasti l’uno dentro l’altra. Incastrati ed impinti ad un amore che travalica, trabocca, travolge perfino la più subdola delle patologie, quella che annienta l’ultima frontiera dei grandi amori: la memoria. Paolo e Anna restano un segreto indicibile di amore e bellezza. Un segreto che vive sotto pelle. E se il miracolo è: “l’amore non scorda”, lo si deve a chi continua a crederci che questo miracolo accada e possa accadere. Lo si deve a chi sa prendersi cura dei ricordi altrui, come il dottore Donato che dirige la struttura, lo si deve alla giornalista che conduce una inchiesta speciale su questa patologia che ad oggi non ha protocollo di cura. Lo si deve a chi come Daniela Tornatore continua a credere e a donare ai suoi lettori questa fede salda che non vacilla neanche un attimo.
L’ amore supera ogni legge, ogni statistica, ogni apparente fine. L’amore, per quanto sotto pelle, è l’unica energia davanti cui tutto, perfino la scienza non può che sospendersi in religioso silenzio. Così la nostra scrittrice narra una storia di un amore infinito e di una malattia straziante. Così ci culla fino alla fine con delicatezza materna e precisione descrittiva, con prosa poetica e linguaggio acuto e autentico. Ci affida al mondo dei sentimenti che non si smarriscono pur se ne possono sfumare i contorni. Ci affida alla gratitudine di chi sa ricomporre i pezzi altrui e li guarda combaciare nell’intimità di un incontro. Ci affida un messaggio che è una sfida provocatoria e sa farlo con l’intelligenza emotiva di chi il lettore lo conduce al bivio, spalle al muro seducendolo.
Davvero l’amore è eterno e vince su tutto? È possibile, ancora oggi, in un mondo fatto di mordi e fuggi? In un mondo in cui i sentimenti si indossano come gli abiti e si consumano come i cibi del fast-food? Daniela Tornatore ci è riuscita a metterci davanti quel bivio. Con quella polverina magica che solo gli scrittori possiedono e con cui sanno mescolare parole che restano sotto pelle. La domanda resta aperta. I lettori potranno domandarselo, rispondere, posticipare la risposta ma di sicuro non potranno non chiederselo. Intanto restano quelle rose rosse, quella carezza, quella lacrima, quel nome. Intanto resta questa storia che si consegna eterna pur nel suo restare incompiuta e forse proprio per questo ognuno di noi potrà sceglierne il finale. Se poi ce ne sarà uno. Perché è vero, la vita non conclude, diceva Pirandello ma la Tornatore ci bisbiglia che se pur è incontrovertibile questo assunto, l’amore non scorda. E resta lì dove niente e nessuno, né farmaci, né tradimenti, né rinnegamenti, né patologie possono giungere. Resta sotto pelle.
Bisogna viverle certe cose per capirle. Spesso questa frase serpeggia come filo rosso lungo tutta la trama del romanzo. Allora l’augurio della scrittrice e il mio è che ognuno di noi possa viverlo un amore così. Perché Itaca pure sommersa, pure ubriaca, pure rinnegata, è e resta Itaca. Ognuno dia le sue risposte al quel bivio a cui ci ha condotto inesorabilmente Daniela Tornatore. Gli scrittori sanno che se le parole sono appartenenza esclusiva, l’amore vero non lo scegli. Accade e non replica.