Sanità… come stanno le cose. La riflessione dell’oncologo Domenico Santangelo
SCIACCA- Riceviamo e volentieri pubblichiamo una riflessione dell’oncologo Domenico Santangelo, responsabile dell’Unità degli ospedali riuniti Sciacca e Ribera.
La sanità italiana rimane ancora una delle eccellenze mondiali in quanto l’assistenza sanitaria viene garantita a tutti indipendentemente dal reddito. Ricordo a me stesso che nella democratica America l’accesso alle cure dipende totalmente dalle assicurazioni, mentre in paesi come Francia e Spagna si ha un sistema misto assicurazione e stato. Un cittadino italiano, pur godendo dl un sistema totalmente pubblico a causa delle lunghe liste d’attesa, etc, spende forse di più di un cittadino Francese ( sistema misto pubblico e assicurativo) perché si rivolge a strutture private.
Questo deve portarci ad una riflessione. Quali criticità contribuiscono a rendere il sistema poco efficace? Riporto un tratto dell’editoriale pubblicato giorni fa sul Corriere delle Sera dai titolo “Sanita un eccellenza a meta”. Negli ultimi dieci anni mentre i consumi intermedi ( amministrazione, utenze, farmaci e dispositivi ospedalieri) sono progressivamente cresciuti, la spesa per il personale si è contratta.
“‘Oggi il sistema sanità dovrà gestire l’enorme crisi di gestione causata dalla mancanza di personale, ampiamente prevedibile, su cui cui ovviamente ricade in buona parte la difficoltà di accesso alle prestazioni. Sono aumentati i posti per i medici in formazione ma ci vogliono 10 anni per formare uno specialista che entrerà in una delle strutture ospedaliere italiane ( 50% pubbliche e 49% private accreditate.)
Il passato parlamento con il decreto Calabria ha permesso di assumere medici in formazione e dare proroghe oltre i 40 anni di servizio e i 70anni di eta. In un sistema ingessato, che non è nato per essere competitivo e non si è sviluppato secondo logiche meritocratiche, il risultato finale è l’attuale mancanza di specialisti e medici di medicina generale, lo spopolamento dei reparti a maggiore rischio come i pronto soccorsi, il ricorso a gettonisti che in pochi notti guadagnano quanto uno stipendio.
“Oggi va potenziato il territorio con la nascita di strutture come gli ospedali di comunità (è una struttura sanitaria di ricovero che svolge della rete di assistenza territoriale, e svolge una funzione intermedia tra domicilio e il ricovero ospedaliero), come le case comunità ( luogo fisico di prossimità, e di facile individuazione al quale l’assistito può accedere per poter entrare in contatto con il sistema sanitario), come le Hospice ( strutture ad alta umamintà e bassa tecnologia).
La Cimo/fesmed in un articolo del sole 24 ore del 10 maggio del 2022 (sanita 24) scrive: “una volta che case e ospedali di comunità saranno operative, si dovrà rivisitare la rete ospedaliera evitando inutili doppioni e chiudendo i piccoli ospedali e pronto soccorso con pochi accessi”.
Sarà un processo complesso e impopolare ma necessario: i cittadini devono comprendere che la piccole strutture ospedaliere , benché più vicine, possono essere pericolose, perché non possono permettersi macchinari innovativi e nuovi farmaci e perché il personale non ha abbastanza esperienza nel trattare alcune malattie
Potenziare l’assistenza territoriale gli ospedali dovranno accogliere solo pazienti con acuzie che necessita di interventi chirurgici o terapeutici di alta intensità. Malati cronici, visite specialistiche di primo livello, esami e servizi diagnostici dovranno essere gestiti dalle neonate case e ospedali di comunità, rendendo quindi inutile, rischioso ed estremamente dispendioso mantenere aperti ospedali piccoli.
Con un territorio ben organizzato, con il potenziamento della telemedicina sì potranno ridurre accessi inappropiati al pronto soccorso che così potrà ridurre anche i tempi di ricovero e si avrà una maggiore disponibilità di posti letto liberi.
Il mio auspicio naturalmente è che ogni territorio possa avere il suo grande ospedale…. Ma oggi a parte le personali opinioni dobbiamo stare ai fatti.
Domenico Santangelo