Caccia a Messina Denaro, 35 arresti nel trapanese
Una vasta operazione dei carabinieri nel trapanese, nell’ambito delle indagini per la cattura del latitante Matteo Messina Denaro, ha portato all’esecuzione di 70 provvedimenti cautelari emessi dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo. Le persone tratte in arresto sono state 35, accusate a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, turbata libertà degli incanti, reati in materia di stupefacenti, porto abusivo di armi, gioco d’azzardo e altro, tutti aggravati dal metodo e dalle modalità mafiose.
L’indagine dei carabinieri ruota attorno ad alcuni esponenti di primo piano dei mandamenti mafiosi di cosa nostra trapanese, legati a Matteo Messina Denaro, che secondo gli inquirenti sarebbe ancora in grado di impartire direttive per la riorganizzazione degli assetti nella zona. In particolare il monitoraggio dei vertici delle famiglie mafiose di Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Marsala, ha permesso di individuare la figura di un uomo d’onore campobellese che, recentemente scarcerato e già coinvolto nei rapporti con cosa nostra di Palermo, avrebbe assunto un ruolo centrale per mantenere i collegamenti con famiglie di altre province. Un’autorevolezza conquistata grazie alla vicinanza al superlatitante, che secondo alcuni indagati avrebbe gestito le nomine dei capizona. In particolare l’indagato avrebbe designato il reggente della decina di Petrosino e sarebbe intervenuto nella nomina del reggente dell’importante mandamento di Mazara del Vallo, rimasto vacante dopo l’operazione «Anno Zero».
Oggi Matteo Massina Denaro ha 60 anni, e deve scontare diverse condanne all’ergastolo: per le stragi Falcone, Borsellino, per le bombe di Roma, Milano e Firenze. Nella stagione dell’attacco allo Stato, era il “pupillo” di Totò Riina, il capo dei capi. Oggi, è diventato il regista della nuova Cosa nostra, che ha riconvertito ad holding sempre impegnata ad investire. Per questo le indagini continuano ad essere piene di imprenditori piccoli e grandi che fanno da prestanome. Ma lui dov’è finito? “Non è il capo di Cosa nostra, ma la provincia mafiosa di Trapani è saldamente nelle mani di Matteo Messina Denaro – dice il comandante del Ros, il generale Pasquale Angelosanto – per questa ragione le indagini dell’Arma coordinate dalla procura di Palermo sono caratterizzate da un’azione incessante, progressiva: dal 2011, sono state eseguite oltre 140 misure cautelari sulla provincia di Trapani e sono stati sequestrati beni per 250 milioni di euro. Indagini che hanno sempre interrotto la riorganizzazione degli assetti dei mandamenti”.