“Il vizio delle parole”. i racconti della domenica di Bia Cusumano

                                                                            Il Valzer delle incertezze

«Che villa stratosferica».

Simona l’aveva pensato ad alta voce. A dire il vero, lei e Gaia erano un po’ in anticipo rispetto all’orario prestabilito.

«Ma proprio qui dovevano organizzare l’evento sulla guerra? Sai che stress fare la vita da vip… tutte cene e feste, poverini!», aveva sospirato rivolgendo uno sguardo stanco all’amica.

Gaia, da parte sua, si era limitata a inarcare il sopracciglio. Quando metteva in scena la sua bella smorfia sbilenca, le si aggrottava la fronte e le rughe si accentuavano. Il suo ex glielo diceva sempre.

«E dai Simo, non è esattamente così. Non ci tratteniamo a lungo, te lo prometto. Giusto il tempo di prendere gli appunti necessari per il pezzo e scappiamo al nostro solito posto. E poi magari ti diverti, che ne sai …»

Simona la guardò con l’aria di chi si sarebbe fatta offrire volentieri un cocktail dal primo che passava, purché fosse un adone. E lì ce n’erano a bizzeffe. Poi avrebbe fatto una marea di foto ai vip di turno e qualche selfie. Così l’indomani le sue allieve sarebbero schiattate d’invidia. Quello era il piano.

«Come no. Mi divertirò un mondo. Intanto registriamoci, poi trovami una toilette e fai il tuo lavoro. Io me la saprò cavare, signorina-penna!»

Simona era fatta così. Merito della sua ultima relazione, che l’aveva devastata. Dopo quello che aveva scoperto sul suo ex fidanzato non riusciva a rinunciare al gioco della seduzione. Gli uomini si ficcavano velocemente nel suo letto e poi scomparivano come i calzini nel cestello della lavatrice. Chi usava chi non era dato sapere. Ecco, piuttosto che fare un’ora di palestra Simona preferiva una bella sessione di sesso.

Gaia la sua storia la conosceva a menadito. Ma ogni volta provava a smorzare un po’ la cosa con la solita formula magica:

«Contenta tu…»

Erano amiche per la pelle. Regola numero uno: niente peli sulla lingua. Ma pure molto diverse. Ciò che per Gaia era impensabile diventava naturale per Simona. Anche perché gli spasimanti non le mancavano, ed era una galleria umana assai curiosa: poppanti col pannolino, bugiardi incalliti, narcisisti seriali o vecchi bavosi. Gaia almeno li disegnava così. Uno che andasse bene non c’era mai.

«Forse perché hai un passato ingombrante e non riesci a goderti il tuo variegato presente», le diceva sempre l’amica.

La villa intanto cominciava a riempirsi. Ma Simona come al solito si era persa: trucco, tacco dodici e bei ragazzi. Per non parlare del vortice di alcol per nulla previsto. Gaia invece aveva riempito velocemente il suo taccuino. Il perché la chiamassero signorina-penna era facile intuirlo. A differenza dei suoi colleghi, iper-accessoriati e tecnologici, lei era una giornalista all’antica: penna, taccuino e appunti. Ma solo quelli necessari. Il pezzo lo avrebbe scritto al massimo entro la mattina successiva. In fondo dipendeva tutto da Simona, che era una specie di falena. Si era tatuata sul piede sinistro un carpe diem abbastanza visibile a un occhio attento. E ci giocava molto, ad essere sexy e sensuale.

Ogni tanto tra lei e Gaia andava in scena qualche piccola gara di scherma con le parole:

«Tu sei una donna all’antica, Gaia. Mi sa che hai sbagliato mestiere…»

«E cosa avrei dovuto fare esattamente, donna che sa sempre tutto?»

«Che so, forse la massaia, la cuoca, la ragazza del bar col taccuino su cui si prendono le ordinazioni … Ma quei bar dell’entroterra della Sicilia dove la tecnologia non è ancora arrivata! Magari la moglie, la madre, la casalinga e basta! Insomma, quello che voleva per te il tuo ex compagno. Non ti sai godere la vita!».

A quel punto Simona abbassava lo sguardo, anche se sapeva che Gaia non si lasciava ferire tanto facilmente. L’avevano messa in croce troppe volte, figurarsi. Quelle discussioni erano petali di rose. Del resto, quello che Simona dissotterrava di tanto in tanto era un passato ormai sbiadito.

Gaia era la donna delle due vite. Adesso esistevano solo i pezzi da scrivere e gli eventi da seguire, perché per il suo caporedattore lei era una specie di soldato scelto. Conta solo la carriera, gliel’aveva insegnato bene, il suo ex compagno. E l’amore? Solo un valzer delle incertezze. E ballare era la mossa sbagliata. Nemmeno il tempo necessario per assaporare la bellezza del movimento sinuoso che venivi scaraventata a terra. E ci si poteva restare per anni, almeno finché al partner del valzer non fosse passata la gelosia, l’invidia, la smania di competizione o chissà che altra folle bizza. E poi su, di nuovo, per un altro giro in sala. E poi di nuovo a terra. No. Per Gaia non ne valeva più la pena. Rialzarsi, tramortita e sola, le prime volte le era costato troppo: costole rotte e lividi ovunque, crisi di ansia e incidenti vari. No, grazie. Ora aveva ripreso la sua vita in mano. Nessun valzer e nessuna caduta in quella sala, dove si suonava da anni sempre la stessa musica.

L’ansia la prese. E sentì il bisogno di uscire in giardino. Afferrò l’accendino dalla borsa e cercò furiosamente le sigarette, come per respirare ossigeno a pieni polmoni e calmarsi un po’. Di Simona si erano perse le tracce. Ma tanto, lo sapeva, sarebbe arrivata da lì a poco. Ubriaca, c’era da scommetterci, e con centinaia di foto. Si accese una sigaretta e guardò il cielo di Palermo. E di maggio.

«Non si fuma. Fa male alla pelle e dopo gli anta aumentano le rughe».

Alle sue spalle. Era la voce di Sandro.

Neanche il tempo di voltarsi per dirgli «Che insolente stronzo!» e quello già le sfiorava la vita con la mano.

«Sei sempre bellissima, come vent’anni fa».

E le sue parole si facevano strada nell’orecchio di lei, appena accarezzato dal suo alito fresco, come un dolce sogno.

Sandro. Il primo amore di Gaia, quello dei tempi universitari. Lo guardò attentamente. Ed era come entrare in una tempesta di emozioni: orgoglio, rimpianto, gioia, sorpresa.

Gaia gettò la sigaretta e lasciò che lui la stringesse a sé. Non aveva paura di cadere.

«Sandro che ci fai qui? Dove sono Lucrezia e i bambini?»

«Veramente Lucrezia è a Milano, a un convegno di chirurgia, e poi questo ti pare un luogo per bambini? Sono qui con alcuni colleghi, anche noi stiamo partecipando all’evento di beneficienza contro la guerra. Palermo si stringe in un’unica voce».

Sorrise. Gaia lo guardò con aria di sfida.

«Mica vuoi rubarmi il titolo del pezzo? Tu continua a fare il chirurgo famoso, la giornalista sono io!»

Ma non aveva ancora finito.

«Ti ricordi quando ti accompagnavo agli esami? Prendevamo il treno per Palermo e poi il taxi fino al Viale delle Scienze, la domenica sera. Poi la cena, già preparata da tua madre: pasta con le uova di San Pietro e i gamberetti, scaldata al microonde. E quelle nottate a romperci la testa con anatomia. Eri così innamorato di me che credevo mi avresti sposata!»

«Non provocarmi, Gaia. Innamorato di te lo sono stato follemente. La stronza che mi ha lasciato sei stata tu. Vedi? Ora avresti potuto essere la moglie di un chirurgo famoso».

«Già», fece lei. «Avrei potuto essere ricca e fare la bella vita. Ma lo sai, siamo diventati ciò che ci eravamo promessi di essere. Tu volevi fare il chirurgo estetico, io la scrittrice. A proposito: ricordi la poetessa sulla quale mi sono laureata?»

«So benissimo di cosa parli».

Ma poi Sandro provò a sviare il discorso:

«In fondo hai ragione. E poi a te la bella vita non è mai interessata, hai sempre vissuto di altro».

Gaia non riusciva a capire se quella di Sandro fosse una battuta al vetriolo o lo pensasse davvero. Forse le cose erano andate così, semplicemente. Forse il suo destino aveva i lineamenti di Lucrezia. E poi: la clinica privata di gran lusso, la carriera brillante, i figli, i soldi a palate, i vip, gli eventi. Il suo destino invece era scrivere, la ricchezza non faceva parte del pacchetto.

«E che diceva la frase della poetessa, sentiamo. Io ancora un po’ di anatomia grazie a te la ricordo».

Gaia voleva provocarlo e Sandro stette al gioco.

«La poesia non dà il pane, Alda Merini. Ricordo tutto, Gaia. E poi ti seguo, leggo quello che scrivi, vedo le tue interviste. Lo so che sei brava, lo sei sempre stata. Stronza, ma brava».

Si guardarono. Tra la bocca di Sandro e quella di Gaia restavano pochi centimetri e il vento di scirocco a fare da terzo incomodo. O chissà. Lei sapeva che in quegli anni ormai lontani Sandro non l’aveva mai scaraventata per terra. Da qualche parte custodiva le vecchie foto e i peluche che Sandro le aveva regalato. Nella sua bocca risorgeva il sapore dei dolcetti alla mandorla che lui le comprava ogni volta che lei andava dallo psicoterapeuta per riuscire a tornare sui libri dopo una carriera liceale conclusa con il massimo dei voti, ma anche con una stanchezza feroce. Un anno sabbatico ci stava.

«Resta qui stanotte», le disse Sandro. «Lucrezia è al convegno e i bimbi sono con la tata nella dependance della mia villa. In tutti questi anni ho sempre sognato di fare l’amore con te. Non mi sono mai capacitato del fatto che a un certo punto il mio amore non ti sia bastato più. Non ti ho fatto mancare mai nulla: regali, attenzioni, cura, fine settimana interminabili a Palermo, la fedina che hai gettato via per la tua stupida gelosia per quella scema di Elena. Come avrei potuto desiderare un’altra se ero pazzo di te?»

«Sandro… intanto sono qui con una amica e non con un uomo. Io con gli uomini ho chiuso».

«Ma io non sono un uomo qualsiasi. Sono stato il tuo primo amore. Una notte dopo vent’anni la meritiamo. L’hai detto tu: non abbiamo tradito le promesse con il destino, ma con noi due sì».

Ma Gaia non cedeva.

«Tu ami Lucrezia. Anche io ti seguo. Siamo rimasti così amici che non mi sono persa un solo pezzo della tua vita. So che non sei così, uno che tradisce. O i soldi ti hanno dato alla testa? Tua moglie tornerà dal convegno. In che modo pensi di guardarla dopo? E io cosa dovrei fare? Ballare con te il valzer delle incertezze? No, ho già dato».

«Gaia, aspetta. E se avessi sbagliato tutto?»

Lei lo squadrò con i suoi occhi verdi e cupi.

«Non so come sarebbe stato o come avrebbe potuto essere. So che non sono più quella di prima. Goditi la vita così com’è e non chiederti altro. Oltretutto è tardissimo, e Simona sarà sicuramente già ubriaca e pure incazzata con me. Sandro: mettiamoci una pietra sopra».

«Prima dammi un bacio. Uno soltanto. Di quelli che si danno gli ex».

Gaia quel bacio glielo avrebbe anche dato. Ma tra il dire e il fare si mise di mezzo Simona. Mezza ubriaca, e con la vodka che le bagnava la scollatura, spuntò all’improvviso dietro il collo legnoso di una palma.

«Beccata, signorina-penna. Ora io scappo e tu mi corri appresso!»

Sandro e Gaia si guardarono. Ancora. Il frame di una risata che ricordava i tempi di Viale delle Scienze.

«Vado, mi tocca riportarla a casa. Capisci quanto mi sei costato stanotte? Nemmeno quanto ti paga una tua paziente che viene a rifarsi le tette!»

«Esagerata!», fece lui.

Ma lo disse solo a se stesso. Gaia ormai non c’era più. E forse per Sandro era meglio così. A ballare il valzer delle incertezze ci si fa solo del male. E poi Gaia, non lo meritava. Ne aveva già subito troppo.