“Il vizio delle parole”, i racconti della domenica di Bia Cusumano
La carezza
Conobbi Francesco in una mostra d’arte. Era un periodo intenso della mia vita e non vi era giorno nel quale non squillasse il cellulare con inviti a presentazioni, a eventi culturali e a mostre d’arte. Non sapevo dire no. Non ero fatta per pronunciare quel piccolo monosillabo. Perché ogni volta, e giuro per la stanchezza tante volte ero stata sul punto di dirlo quel no, così liberatorio e semplice da emettere come suono… ogni volta mi sentivo di tradire la Bellezza e sapevo che, così come ognuno di noi su questa terra appartiene a qualcosa o a qualcuno, come un pezzo di Itaca che gravita nel proprio cuore, io appartenevo alla Bellezza. E Lei, mi chiamava dai luoghi e dalle persone più disparate perché io ci fossi e imparassi il vero suo intimo segreto. Quando ricevetti l’invito per presenziare alla mostra d’arte non pensavo affatto che tra quei dipinti rivelatisi poi così seducenti e suggestivi, quei colori così forti e quei coni di ombra e di luce, tra tutte le persone presenti in sala, io avrei incontrato un “gesto” che avrebbe cambiato ancora il mio destino, come già lo aveva fatto tempo fa in un momento lontano e felice della mia vita. Eppure quel gesto tornava, riaffiorava, riemergeva dal profondo e commuoveva il cuore. Un gesto così semplice, banale quasi e che, invece, capovolge i destini, se solo riuscissimo a sentirne la potenza straordinaria, il linguaggio muto che parla tutte le lingue del mondo.
Indossavo un abito rosso per la mostra e i miei soliti brillantini sparsi ovunque. Odry mi guardava con il suo sguardo profondo e quasi stupito… “Quanta gente – mi disse -. Questo non è esattamente il mondo per me, lo sai; sono qui solo per te. Io per ora sarei a girovagare fra prati e boschi, a fare foto alle specie più svariate di fiori e di alberi! Altro che eventi Vip! Che mi tocca fare per te!” Odry era così: una donna di una cultura profonda, di sensibilità immensa e di spudorata sincerità. Non scorderò mai il nostro primo incontro, la nostra prima cioccolata calda insieme, i suoi occhioni di cielo nei quali ci si perdeva e le sue lacrime d’amore. Era vero! Il suo mondo era fatto di un altro tipo di Bellezza, quella della natura, della madre terra, dei percorsi naturalistici, delle escursioni ai limiti fra rocce e pendii per me impraticabili e tuttavia, quanto fosse appassionata di Bellezza Odry, nelle sue variegate forme e manifestazioni, davvero poche persone come lei avevo incontrato lungo il mio cammino. Era lì per me. Il suo modo di dirmi “Che mi tocca fare per la mia più cara amica” era anche quello di dirmi: “Ma quando finisce e fuggiamo via?” Saremmo fuggite, lei e io, come da sempre facevamo, per poi perderci nei nostri discorsi fino a tarda notte, tra flûte di spumante, risate e riflessioni profonde su tutto e tutti. Non vi era nulla che a due amiche vere fosse precluso. E poi la risata di Odry era fragorosa come il mare della mia terra quando sbatte sugli scogli e ti spruzza l’anima di vita.
Lei era un vulcano di energia e passione. In fondo non eravamo così diverse lei e io e forse per questo, come sempre nella mia vita, fu un colpo di fulmine al femminile. No, evidentemente io o mi innamoravo subito o non mi innamoravo affatto. Quella idea che l’amore arriva a poco a poco, con il tempo e la frequentazione, conoscendosi giorno dopo giorno, non era fatta per me; la magia o scattava subito o non scattava affatto. Odry era una chimica e una biologa; io una poetessa, per cui dicevamo sempre che l’amore è Chimica e Poesia. A ragionarci bene, non strideva affatto quella definizione che poteva suonare come un ossimoro. Chimica e Poesia. Odore, pelle e cuore. Sì, l’amore è un mix inspiegabile di energia che esplode all’improvviso e ti rapisce i sensi e le fibre dell’anima. A me era successo sempre così, in amicizia come nelle relazioni sentimentali. Ma l’amore ha molteplici volti e manifestazioni, per questo è e resta la più straordinaria avventura che l’uomo possa vivere su questa terra.
Francesco mi guardava mentre presentavo, con la solita sicurezza e disinvoltura di chi (in quel mondo che Odry chiamava da Vip, un po’ prendendomi in giro) si trovava perfettamente a suo agio, la mostra. E mentre parlavo, e i suoi occhi sorridevano facendosi cullare dalle mie parole, io fui rapita dal suo gesto sul volto di un uomo che era al suo fianco, con lo sguardo sperso in un altrove che solo lui vedeva: una carezza. Così dolce e struggente che mi catapultò in un tempo ormai lontano, ma… tornai repentinamente alla mostra per non perdere il filo del discorso. Francesco accarezzava il volto di un uomo che per tutto il tempo della mostra non pronunciò una sola parola. La sua carezza era già parola. Poi seppi che era un suo cugino disabile, di cui si occupava lui in maniera esclusiva. Un cugino che amava come fosse un figlio e che portava con sé ovunque perché l’Amore va donato al mondo così come la Bellezza. E il suo amore per quel cugino, che non sentiva assolutamente un peso o un limite per la sua vita di uomo d’arte, era così intenso che si irradiò nella sala per tutta la durata della mostra. Quella carezza mi commosse così tanto che a fine evento, mentre Francesco si avvicinò a me per farmi i complimenti e potere sancire altre future collaborazioni, i miei occhi restarono incollati sul viso del cugino. Ne scrutai l’espressione appagata, felice, direi, perché ovunque fosse in quel suo mondo dell’altrove nel quale non erano giunte le nostre riflessioni, i nostri discorsi da intellettuali e da critici d’arte, ovunque fosse Marco (seppi poi che si chiamava così), lì attraverso quella carezza giungeva l’Amore. Quello vero, che supera ogni barriera e confine, ogni “diversità” e limite fisico o mentale, ogni dolore e ogni patologia. L’Amore che non teme giudizi né condanne né critiche.
Marco era un uomo nato con una patologia invalidante e cronica e se non fosse stato per Francesco sarebbe stato “rinchiuso” in qualche casa di accoglienza e cura per disabili, rimpinzato di chissà quali farmaci e lasciato solo nel suo altrove indefinito, dove il mondo nostro non filtrava se non attraverso pochi gesti essenziali. Le parole si sperdevano nelle sue orecchie e non giungevano alla sua mente. I pensieri si sbriciolavano come fossero molliche di torta che cadono a terra. Nel mondo di Marco entravano solo i gesti. L’unico suo linguaggio; forse l’unico che davvero conti nella vita. Perché si sa, con le parole possiamo incantare tutti e professare i sentimenti più arditi e profondi ma restano solo parole. Bolle di aria che si disperdono come i palloncini colorati che sfuggono ai bimbi sulla spiaggia o nei prati.
I gesti sono l’unico vero linguaggio dell’Amore. Marco per tutto il tempo della mostra mi sorrise, come se poi riuscisse a comprendere o a comprendere almeno una di tutte le parole che dissi e che nemmeno io ricordo, abituata come ero a parlare in pubblico in ogni circostanza, in maniera spontanea, immediata, senza mai nulla di formale o scritto da leggere. Le parole, ero solita dire, mi abitavano dentro, erano mie coinquiline da sempre. Non avevano bisogno di essere agghindate per venire fuori, erano già lì, si adagiavano sulla mia lingua e la mia unica fatica era mettere fiato nei polmoni per “donarle” al mondo. No! Non era necessario “convocarle” le parole, erano loro che venivano a galla, mi giravano intorno, mi facevano compagnia durante i miei giorni, con fedeltà assoluta e perfino prepotenza. A volte volevano che mi fermassi d’improvviso e le ascoltassi senza possibilità alcuna di rinvio e, in quei frangenti, non potevo fare altrimenti. Quando scrivevo i miei racconti o le mie poesie dovevo fermare tutto: lavoro, impegni, incontri, commissioni e dare loro lo spazio e il tempo che esigevano. Non vi era stanchezza che le arginasse o mi risparmiasse dalla loro insistenza. Pretendevano un foglio, un PC, un qualsiasi mezzo o strumento per essere accolte, abbracciate, amate, accarezzate. Non potevo esimermi e quando cercavo di fare capire agli altri questa mia appartenenza assoluta alla Bellezza, cercavo a modo mio di fare comprendere giusto questo… vedevo gli sguardi altrui scivolarmi addosso come fossi una visionaria che della vita reale non ha capito nulla. Ero Marco anche io, una creatura dell’Altrove, che restava sospesa in un mondo tutto suo. Marco, sì!
Custodirò sempre nella memoria quel suo sguardo smarrito tra quadri e critica d’arte, quel suo sorriso semplice e autentico. Ma se non aveva compreso neanche una parola di tutto quello che avevo detto, perché mi guardava con quella profonda dolcezza? Francesco si avvicinò a me continuando a parlare a conclusione della serata e a fare dolci carezze sul volto del cugino. La mia unica domanda fu: “Come si chiama questo signore che accarezzi dall’inizio della mostra?” Da lì seppi il suo nome e la sua storia che fu poi la risposta segreta e intima del mio dire sì a quell’evento inaspettato. Non ero lì per la mostra. Senza dubbio di una bellezza sconfinata, in cui rividi amici e condivisi riflessioni, sguardi, sorrisi, abbracci, feci foto e mi inebriai respirando quell’aria di magia ineffabile che proveniva dalle tele dei dipinti; ero lì per quella “carezza”. Ero lì per conoscere la storia di Marco, il suo dolore e portarlo con me, dentro, impresso nelle pagine della mia vita. Ero lì perché la vera Bellezza era Amare e l’Amore parlava il linguaggio delle carezze più che delle parole. Le parole sanno mentire, ingannare, illudere, sedurre; i corpi non mentono mai. Ero lì per imparare ancora una volta che l’Amore era molto più semplice e immediato di come possiamo costruire noi con discorsi perfetti. Dopo che parlammo a lungo chiesi ancora a Francesco: “Ma se tuo cugino non ha compreso nemmeno una parola delle tante che ho pronunciato, perché mi ha guardato con così tanta dolcezza? Come comprendesse tutto e tutto condividesse, come se fosse qui tra noi adesso e non nel suo mondo sperduto? Non capisco”. Francesco mi sorrise e mi rispose con la pacata consapevolezza di chi conosceva bene il senso profondo dello sguardo del cugino: “Ha sentito il tuo amore per lui. La tua carezza invisibile agli occhi degli altri è stata tangibile per il suo volto. Lui sente solo l’amore, non altro. Gli basta poco per essere felice, come vedi. Una carezza o degli occhi che lo toccano dentro. Non come noi uomini “normali” o presunti tali, sempre insoddisfatti, inquieti, assillati da mille ansie di perfezionismo, dal volere essere vincenti e brillanti sempre!” A Marco bastava l’essenziale per essere felice. Essere amato. E nel suo mondo entrava solo questo. Il resto era buio fitto; si disperdeva o forse non esisteva affatto.
Francesco era un uomo così intelligente e sensibile da averlo compreso subito, prima dei medici, delle visite specialistiche, dei farmaci, dei vari tentativi di protocollo di cura, tutti inutili del resto, perché dalla patologia di Marco non si guariva e lentamente invece si varcava una soglia oltre la quale davvero sarebbero giunti solo pochi essenziali gesti: carezze, baci, sguardi, abbracci. Aveva lottato contro tutto e tutti per non farlo “rinchiudere” dentro una casa di accoglienza e cura e lo portava ovunque lui andasse, in qualsiasi evento o manifestazione culturale o d’arte. Marco era accanto a Francesco e lui semplicemente lo accarezzava. Lo aveva fatto viaggiare in lungo e in largo, in Italia e all’estero, gli aveva fatto vedere le cose più belle e strane di questo paradossale mondo come diceva lui. “Così – mi disse – quando se ne andrà da qui porterà con sé tutta la bellezza che ho potuto donargli. Ogni singola molecola dei musei e delle mostre che abbiamo visitato, degli eventi ai quali abbiamo presenziato, convegni, mostre e poi parchi meravigliosi in cui abbiamo fatto lunghe passeggiate insieme e l’odore del mare che Marco ama quanto quello dei dipinti”. “Francesco – dissi –, credo che tuo cugino porterà oltre a tutta questa bellezza che gli hai saputo donare, che immagino ti sia costata tanto tempo, tanta dedizione, tanta cura, tanta infinita presenza e pazienza, io credo (e mi fermai un attimo per la commozione)… credo che porterà con sé tutte le tue carezze. La felicità è semplice. Hai ragione. Sei una persona straordinaria e questa sera sono stata felice di essere qui, perché ancora una volta ho capito cosa sia il vero Amore e me lo ha insegnato il volto di tuo cugino e la tua mano sul suo volto. La vera Bellezza è Amare, potevo forse semplicemente dire, piuttosto che tutto quel mio lungo discorso”. Marco sembrò annuire, come se quelle parole gli fossero scivolate dentro e rimaste impinte in qualche parte smarrita dei suoi processi cognitivi. Odry era rimasta in disparte per tutto il tempo, aggirandosi con curiosità per tutta la mostra, facendo foto ai dipinti e parlando amabilmente con gli altri ospiti della serata. Alla fine quel mondo da Vip non era risultato poi così stucchevole e noioso e la mostra non aveva avuto nessun momento ingessato o formale. Anzi, forse proprio grazie alla presenza di Marco, si era respirata un’aria vera, autentica, essenziale. Si era fatto tardi. Ci scambiammo i numeri con Francesco, perché egli aveva già idea di coinvolgermi in altri progetti, e ci salutammo con la promessa di rivederci presto. Odry si avvicinò con il suo fare spiritoso e allo stesso tempo amorevole. “Allora – mi disse -, mia grande celebrità del mondo dell’arte e della cultura contemporanea, mia donna dall’abito rosso fiammante e sexy (e rise), quale dei tanti quadri esposti alla mostra ti è piaciuto di più?” La guardai come chi ha una lunga storia da raccontare ma magari dopo, davanti ad un buon bicchiere di passito: “La carezza”, le risposi. “Ma non c’era tra i quadri esposti alla mostra! – disse – Che sei ubriaca? Guarda che ancora dobbiamo andarci a bere! Anzi sono le nove, te ne rendi conto? Siamo non in un imbarazzante ritardo ma di più! Che è poi questa storia della carezza?” “Odry – dissi – te la racconto dopo. È una storia di una Bellezza disarmante! Ora andiamo, hai ragione, siamo davvero in ritardo, ma ne è valsa la pena!” Nel frattempo scendevamo speditamente le scale per raggiungere la macchina e volare alla cena alla quale ci aspettavano, vidi che Odry con sguardo vorace stava spulciando tutto il catalogo della mostra alla ricerca dell’opera “La carezza”. “Eh no, – dissi – amica mia, non tutto ciò che esiste si vede, però esiste lo stesso e si sente proprio come una carezza!” “Mah… – rispose Odry -, poi mi racconti! Io l’ho sempre detto: tu sei o una visionaria o una matta o una vera poetessa, che poi per me è la stessa cosa!” E scoppiò in una fragorosa risata.