Acqua, quella gestione diretta a 8 Comuni che non convince
Il servizio idrico in provincia di Agrigento e il diritto ad otto Comuni di gestirlo in proprio. Questo l’argomento trattato dal quotidiano LA SICILIA in un apposito approfondimento che vi proponiamo integralmente.
Ciò che per otto Comuni agrigentini è stata una conquista, per molti resta un passaggio non proprio lineare nel tortuoso cammino del servizio idrico in provincia di Agrigento. Stiamo parlando del recente e definitivo riconoscimento del diritto alla gestione diretta del servizio idrico nei Comuni di Alessandria della Rocca, Bivona, Burgio, Cammarata, Cianciana, Menfi, Santa Margherita Belice e Santo Stefano Quisquina.
Di fronte ad un dibattito che resta aperto e che fa leva sui requisiti in possesso da questi otto centri del territorio provinciale per gestire in proprio il servizio, abbiamo sentito il Presidente del Consiglio direttivo dell’Ambito Territoriale Idrico provinciale, Francesca Valenti: “Le associazioni sono convinte che alcuni Comuni, ed in particolare i due dell’area belicina, non hanno le fonti proprie così come previsto dalla normativa e dalle linee guida da noi adottate – ci dice Valenti – ma queste considerazioni sono documentalmente smentite. Questi Comuni hanno i contatori, hanno fonte con acqua pregiata e sono assolutamente i requisiti richiesti. Riguardo ai Comuni che non hanno il sistema di depurazione, Bivona e Santo Stefano ad esempio, hanno potuto documentare che la carenza è della Regione, che non ha ancora assegnato il finanziamento previsto. In sostanza, hanno tutti prodotto le certificazioni richieste, per cui non capisco il motivo per cui si deve ancora continuare a mettere in discussione il riconoscimento alla gestione diretta”.
Ma l’Ati prima del riconoscimento dei requisiti avvenuto nel settembre 2019, e oggi confermato con la ratifica della decisione del commissario regionale, ha fatto gli accertamenti richiesti dalle associazioni ? “Il commissario ad acta non ha solo verificato la nostra delibera e la documentazione allegata – aggiunge il presidente Francesca Valenti – ma ha avuto altri incontri con tecnici dei Comuni e del Dipartimento regionale acqua e rifiuti. C’è dietro un lavoro e una verifica dettagliata”.
Chi oggi contesta il riconoscimento della gestione in house riconosciuta a otto dei sedici Comuni che ne avevano fatto richiesta, dice da tempo che i requisiti dovevano essere posseduti al momento dell’avvio del servizio idrico integrato, e non dopo. Ma perplessità ci sono anche sulle prescrizioni determinate dall’Ati, e cioè il tempo ulteriore concesso per effettuare alcuni interventi, come l’adeguamento degli impianti di depurazione, l’articolazione tariffaria, la regolarizzazione della documentazione sulla sorgente e la completa installazione dei misuratori volumetrici. Di fatto, il tempo all’epoca concesso dall’Ati con apposite prescrizioni, i diciotto mesi assegnati, oggi è ampiamente trascorso.
“Che accertamenti dovrebbe fare l’Ati – si interroga Francesca Valenti – la documentazione fornita dai Comuni richiedenti è fatta da relazioni firmate e sottoscritte dai tecnici. Sarebbe grave se quanto dichiarato non dovesse corrispondere con la realtà. Fare una verifica su quanto documentato mi pare eccessivo”. Non la pensa allo stesso modo Franco Zammuto di Intercopa: “Il commissario ad acta – dice – non ha fatto altro che firmare il riconoscimento guardando le carte e la documentazione prodotta nel 2017 dai Comuni richiedenti. Dovevano farlo nel 2007, dieci anni prima. In ogni caso, quando la Consulta si insedierà, spero proponga controlli mirati da parte dell’Arpa”.
L’Ati, dunque, non ha mai fatto accertamenti di carattere tecnico nei Comuni che hanno ottenuto il via libera alla gestione in proprio dell’acqua. Ma le associazioni insistono sul fatto che i requisiti per la salvaguardia li dovevano possedere già nel 2007, non quando hanno fatto richiesta, nel giugno del 2017. “Potenzialmente – come sosteneva tempo fa il coordinamento Titano – potremmo avere realtà comunali che stanno inquinando l’ambiente, con tutte le conseguenze che ciò comporta”.
Giuseppe Recca