Tra Palermo e la Regione, la politica recita il suo lungo e stantio copione

PALERMO. Di CALOGERO PUMILIA

L’attesa si fa palpitante – esordio di antica retorica – e sul teatro delle ombre tarda a scendere il deus per sciogliere gli arruffati intrecci. I meccanici che stanno a Roma e decideranno l’esito della partita, mettendo fine al gioco dei loro esponenti locali, sono all’opera per sistemare la machina.

Il tempo lungo della recita costringe gli attori a riproporre le stesse battute e, tuttavia, non c’è il rischio di annoiare il pubblico che partecipa, scommette, si accapiglia, vuole sapere se Musumeci finalmente troverà ospitalità nella Lega che, dopo l’esultanza per i numerosi ingressi è alle prese con gli spuntoni degli istrici che hanno trovato asilo in quel partito.

Tutti i siciliani aspettano di vedere se Miccichè, quando la tela calerà sul sipario, avrà ottenuto le garanzie del ruolo che gli spetta e se riuscirà, obiettivo politico rilevante e ambizioso, a ridurre lo spazio dei sovranisti, se i numerosi “centri” daranno vita ad un visibile, unico punto e, infine, se Cuffaro, che mostra di non soffrire di carenze d’affetto, verrà invitato ai tavoli che contano, mentre, intanto, si contano le sedie per appattare il loro numero ai sederi.

Il conclave itinerante della destra si svolge in sedi neutre per evitare di dare punti all’ospite, è diverso da quello di Viterbo della seconda metà del 1200, che si tenne al chiuso, lontano da occhi indiscreti e durò così a lungo che, per porvi fine, si dovette abbattere la volta della stanza in cui si riunivano i cardinali e far piovere sulle loro teste per indurli ad eleggere un papa. Questo moderno conclave ha la scadenza della data di presentazione delle candidature e tuttavia non sarebbe male una bella pioggia di realismo e di buon senso sui protagonisti. L’evento si svolge davanti a taccuini e telecamere e viene raccontato ogni giorno e ogni giorno chi lo racconta trova nuovi sviluppi nello svolgimento dell’accattivante telenovela.

Molto più soft, meno intrigante e coinvolgente, con un numero inferiore di colpi di scena e con una presenza ridotta di attori, viene messa in scena la pièce della sinistra o del centro sinistra. Qui gli attori passano più tempo nei loro camerini che sul palcoscenico, impegnati a definire il copione. Che parrebbe stia per essere scritto intanto dal Partito democratico e dal Movimento cinque stelle che, evolvendo evolvendo, esce dagli splendori della beata solitudine per cercare intese e compromessi, il più ardito dei quali sarà quello di eliminare la pregiudiziale su Orlando, piddino, il quale, malgrado inevitabilmente appannato per la lunghissima permanenza a Palazzo delle Aquile, rimane una realtà con cui fare i conti. Da quel settore ci si dovrebbe attendere che prima di candidati e organigrammi si mettesse a punto un progetto, cominciando con quello sulla città di Palermo. Sembrava che il Partito democratico avesse iniziato a riflettere nel corso della festa dell’Unità, dove sono emerse molte utili proposte. Poi le ha lasciate nel cassetto. Non le ha fatte girare tra gli organi, dove ci sono, e tra gli iscritti. L’adrenalina di un risultato elettorale amministrativo buono anche in Sicilia si è scaricata in gran parte con il giubilo, durato qualche giorno, di Barbagallo che ha festeggiato con Cancelleri.

Si dovrà, intanto, mettere in chiaro cosa è opportuno salvare del lascito orlandiano e a chi intestare la battaglia per la candidata o candidato, dei quali sinora non si intravede neppure la sagoma, da scegliere preferibilmente scelta attraverso le primarie anziché con il metodo del caminetto. Fino ad oggi il clima sul versante del centro sinistra si percepisce meno colorito ed esagitato e – udite, udite! – meno rissoso rispetto a quello della destra. Non ho più l’età per le illusioni ma la memoria è ancora vigile per ricordare che sui palcoscenici della sinistra le pièces più frequenti si sono svolte a colpi di bastonate tra gli attori della stessa compagnia. Per assistere a un miracolo non c’è età. E un miracolo sarebbe la formazione di un “campo largo”, che non è una ovvietà, ma il risultato della capacità di aggregare, di sapersi aprire ad altri, colloquiare con i gruppi che operano fra la gente, uscire dall’autoreferenzialità e tornare a parlare con le donne e gli uomini, comprendendone il linguaggio e mostrando la capacità di farsi carico dei problemi. Il campo largo è il contrario delle chiusure, della ricerca identitaria che magari esalta ma muta la politica in testimonianza. Per costruirlo occorrono impegno e obiettivi condivisi. I due più importanti promotori si stanno mettendo all’opera con un esordio da teatro dell’assurdo. Per cominciare a discutere, Partito democratico e Movimento cinque stelle hanno composto, immagino con quanta fatica, una delegazione di dieci per parte. Dovrebbero essere così rappresentate tutte le “anime” – definizione meno impattante e più eterea di “corrente” – del Partito democratico e garantiti tutti i gruppetti di Cinque stelle che rimangono alle prese con una identità incerta e, in Sicilia, con un assetto indefinito.

Più si è e più contributi arrivano per la elaborazione di un progetto organico. Ma più si è, meglio si riesce a marcarsi reciprocamente, a neutralizzarsi, a bloccare ambizioni, a non offrire vantaggi a nessuno – ché le serpi più pericolose sono sempre quelle che stanno in casa. Sullo sfondo resta la Regione, che ha accumulato un disavanzo enorme, ha toccato il fondo ed ora potrebbe essere costretta a scavare e il Comune di Palermo di fatto in dissesto. I motori della destra e della sinistra restano impallati e, con sintomi diversi, le due parti politiche non stanno molto bene.

Per finire, mi viene in mente una battuta che comunemente è attribuita a Woody Allen ma che pare sia di Ionesco – apprezzare la citazione colta! -: “Dio è morto, Marx pure e io non mi sento molto bene”.

A non sentirsi bene è la Sicilia, dalla quale arriva sempre più netto un brusio: “e basta!” – contraddico l’esordio che spero si sia capito ironico –, la Sicilia che diserta il teatro della politica e lascia in un vuoto desolante gli attori, che recitano per se stessi di fronte ad una platea vuota.