Parlamentari ed ex parlamentari, si al ricalcolo come i comuni mortali dice la Corte Europea
ITALIA. Di Filippo Cardinale
Ricorderete la grande difesa che hanno fatto gli attuali parlamentari e gli ex parlamentari a tenace difesa dei loro diritti pensionistici, invocando i cosiddetti “diritti quesiti” che altro non sono che i diritti acquisiti nel tempo.
Ricorderete anche che per i parlamentari e, conseguentemente, per gli ex, non vale il sistema della giustizia ordinaria, quella alla quale noi comuni mortali ci rivolgiamo quando abbiamo qualche problema, bensì quella della cosiddetta “giurisdizione domestica”: l’unico giudice legittimato ad intervenire è lo stesso Parlamento, a “difesa delle garanzie dei rappresentanti del popolo”. In sostanza se la cantano e se la suonano.
Ricorderete ancora che per diverse volte negli ultimi venti anni (Dini, Sacconi, Fornero) la materia delle pensioni di lavoratori dipendenti ed autonomi è stata riformata – in peggio – allungando l’età pensionabile e, soprattutto, introducendo il metodo di calcolo contributivo della pensione, dal 2011 esteso a tutti. Secondo questo sistema, l’ammontare della pensione è definito in base ai contributi versati, seguendo il principio che maggiori saranno i contributi versati maggiore sarà l’importo della pensione.
Con il “sistema contributivo” infatti, l’importo della pensione viene determinato dalla somma dei contributi accumulati e rivalutati durante la vita lavorativa. Questa somma viene poi convertita in pensione utilizzando coefficienti di trasformazione che variano in relazione all’età del lavoratore al momento del pensionamento. Più elevata è l’età, più alta sarà la pensione.
Queste norme si sono applicate a tutti senza nessuna attenzione ai diritti quesiti di noi comuni mortali ed oggi invece invocati dagli ottimi parlamentari ed ex parlamentari, che si sono rivolti al loro giudice, cioè ai loro colleghi, che hanno stabilito che per loro il metodo contributivo non si applica. A loro deve continuare ad applicarsi il metodo retributivo. Che cosa è?
Il “sistema retributivo” si ottiene con un metodo di calcolo basato sugli stipendi percepiti a ridosso del termine dell’attività lavorativa. Questo significa un assegno pensionistico che riduce di poco, quasi di niente, l’ammontare di quanto percepirà il pensionato, dato che le somme percepite al termine della propria attività “lavorativa” coincidono con la fase in cui il reddito è più elevato.
Recentemente il Tribunale della Corte di giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza T 695_19, Ottava Sezione ampliata, del 5 maggio 2021, ha stabilito un grande principio su ricorso di un parlamentare europeo, Enrico Falqui, che aveva presentato ricorso contro la riduzione che gli era stata comminata invocando tra l’altro, udite udite, “la violazione del legittimo affidamento”, ossia l’affidamento che il parlamentare aveva riposto sulla quantità della sua pensione per il futuro. Ma se avesse chiesto alla sua collega Fornero dove era andato a finire l’affidamento di milioni di lavoratori italiani questa glielo avrebbe detto subito (anche se lui se lo poteva immaginare!), ed avrebbe risparmiato anche i soldi del ricorso, visto che si era fatto rappresentare da fior di professori di diritto.
La sentenza, invece, ha stabilito che il ricalcolo della pensione dei parlamentari italiani con l’applicazione del metodo contributivo è legittima, poiché così facendo non viene violato il principio di proporzionalità.
Finalmente qualcuno che stabilisce quali privilegi devono essere cancellati, e finalmente un grande precedente che non potrà essere ignorato.
Se qualcuno volesse leggere tutta la sentenza diamo il link: https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=FB927D6DB3749775C8B9ABD50A7AB766?text=&docid=240825&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=1048528.