C’è folla sotto il balcone di Palazzo delle Aquile.
Molti resteranno lì a lungo, in attesa delle piume di Orlando. Tra quelli che presidiano la piazza della Vergogna non si riesce ad indovinare ancora chi sarà Agramante. Nessuno di loro, tuttavia, può avere “il giovanil furore” del re dei Mori. Sono tutti attempatelli, per lo più reduci di antiche tenzoni, hanno una lunga permanenza nel campo della politica. Cercano una nuova occasione, non avendo dato prove brillanti in quelle precedenti. Esprimono la loro indignazione per le bare insepolte, per la munnizza nelle strade e per altre inadempienze dell’amministrazione comunale. E fanno bene. Lo sdegno è legittimo e fondato. C’è una sua evidente caduta e il carisma di Orlando, la sua straordinaria capacità di sintonizzarsi con gli umori della città, si sono evidentemente appannati. A dar fiato alla denuncia, condividendola e amplificandola, c’è una pletora di borghesi di varia coloritura, molti dei quali, per anni, hanno trovato ombra e refrigerio sotto la quercia ed ora, convinti che stia cadendo, hanno imbracciato le accette per far legna, guardando ai cespugli della destra e del centro – che poi vai a capire la differenza! -, per indovinare quello che, se non quercia, almeno alberello potrebbe diventare.
Quando finisce la denunzia ben fondata, la voce degli Agramanti si affievolisce, poca capacità dimostrando nella elaborazione di un progetto di lungo termine e nessun contributo venendo da quanti li sostengono. Almeno fino ad ora. Chi di loro dovesse essere eletto, se i sondaggi resistono fino a primavera prossima, probabilmente riuscirà a seppellire i morti e a pulire le strade e non sarebbe un risultato da poco.
A quanti si candidano alla successione di Orlando, un consiglio non richiesto: continuate a volare basso, non immaginate di essere aquile. Parlate di traffico, di spazzatura, di ordinaria amministrazione, che non è poco. Su questi temi potreste incontrare il consenso della gente. Evitate di sfidare Orlando su quella che, con un po’ di retorica, si chiama visione. Con alcuni errori egli l’ha avuta. A colui che dovesse riuscire a prenderne il posto, un altro consiglio altrettanto gratuito: provveda subito, appena eletto, a farsi fare il ritratto, per restare almeno nella quadreria del Comune, sarà più arduo rimanere nella storia di Palermo. In quella ci resta il sindaco uscente. Con i suoi limiti, il suo populismo, le sue antiche, improvvide polemiche con Falcone, il suo fastidio per la minuta eppure importante amministrazione e la preferenza per i grandi voli. Non so se nella memoria della gente resterà “lu sinnacu nostru”. Sicuramente, per l’opinione pubblica nazionale e internazionale, sarà colui che ha incarnato il riscatto di Palermo, che ha contribuito a togliere dal suo ingresso quella sorta di targa di città della mafia, dandole anche una identità da tempo smarrita nel settore della cultura e dell’accoglienza.
Il mio potrebbe sembrare un peana. Eppure ho spesso criticato il personaggio da quando ha lasciato, molti anni fa la Democrazia cristiana e, mettendosi in proprio, ha concorso ad abbattere la prima Repubblica per spianare la strada alla seconda di Berlusconi, dei suoi epigoni odierni e di una sinistra dimezzata e balbuziente. Non ne ho condiviso il protagonismo in solitario e la permanenza sulla soglia del Pd: entro/non entro. Nell’adesione recente un segno di debolezza?, di consapevolezza?, un’opa? Che sarebbe agevole in una realtà come quella dei democratici di Palermo. Orlando è così, e come è ormai risulta parte essenziale della storia del capoluogo. Il confronto degli Agramanti con lui è impari.
Infine, è proprio certo che “l’audace impresa” al centro e alla destra riuscirà? E che la più celebre spada dei cavalieri di Carlo Magno, la “durlindana”, che non possa essere utilizzata nel campo avverso a quello della destra?