E’ morto Alfonso Giordano, il giudice del maxiprocesso alla mafia. Fu giudice anche a Sciacca

PALERMO.  “Oggi alle 13.30, il presidente Alfonso Giordano è tornato serenamente alla casa del padre – ha scritto suo figlio, Stefano, su Facebook – le esequie si svolgeranno in forma strettamente privata. Ne danno notizia i figli, uniti nel dolore e nella speranza della resurrezione”. E’ stata appresa così la notizia della morte del giudice Alfonso Giordano che, nella Palermo degli anni Ottanta, fu l’unico magistrato ad accettare di dirigere la Corte d’assise del primo grande processo alla mafia.

E il magistrato, non si tirò indietro, come tanti altri suoi colleghi. Quel giudice è diventato un simbolo della lotta alla mafia. Aveva 92 anni.  Ai più giovani ricordava i giorni difficili del maxiprocesso con un’espressione semplice: “Ho fatto solo il mio dovere”.

Non amava la ribalta e i riflettori dell’antimafia. “Io ho rappresentato lo Stato nel processo più duro contro Cosa nostra – aveva detto in una recente intervista al Riformista – Il nostro compito era quello di non fare sconti a nessuno, e non ne abbiamo fatti. Diciannove ergastoli, poi confermati in appello e in Cassazione significano che lo Stato con la mafia ci andava giù duro”.

Di quei giorni ricordava soprattutto l’atmosfera pesante attorno ai giudici della corte, e le parole sibilline di Michele Greco, il “Papa” della mafia, che aveva chiesto di parlare prima dell’inizio della camera di consiglio: “Io vi auguro la Pace”. Il presidente Giordano non si scompose e lasciò scivolare quella minaccia neanche tanto velata.

Poi, l’incarico di presidente della prima Corte d’assise: il processo istruito dal pool diretto da Falcone e Borsellino iniziò il 10 febbraio 1986, si concluse il 16 dicembre 1987, con 19 ergastoli, 2665 anni di reclusione e 11 miliardi di lire di pene pecuniarie inflitte ai vertici di Cosa nostra.
Filippo Cardinale