Covid e inchiesta sui numeri in Sicilia, il gip di Palermo: “Falsità dei dati, punta di un iceberg”. Capi di incolpazione da 36 scendono a 7
PALWERMO. “Allo stato non si può escludere che le falsità emerse dalle telefonate ed oggetto di incolpazione provvisoria costituiscano solo la punta dell’iceberg di ripetute falsità, che solo una certosina e laboriosa ricostruzione permetterà di far emergere”. A dirlo è gip di Palermo Cristina Lo Bue. Parole che nducono a pensare che le indagini proseguono e il caso prefigura altri sviluppi nonostante i capi di incolpazione siano passati da 36 a sette.
Sono state svolte nuove indagini, sentendo i funzionari dell’Istituto superiore di sanità. E’ emerso che i “dati dei decessi sono ininfluenti sugli indicatori” che poi determinano le zone rosse. Come “ininfluenti” sono i bollettini quotidiani diffusi a titolo informativo, che non sono tecnicamente atti pubblici.
Al centro dell’inchiesta ci sono le alterazioni dei dati ufficiali, quelli inseriti sui form della Piattaforma della sorveglianza integrata. Il gip sottolinea “la rilevanza dei dati aggregati caricati dagli indagati sulla piattaforma dell’Istituto superiore di sanità ai fini delle valutazioni epidemiologiche effettuate in ambito regionale: valutazioni che possono incidere – si legge nel provvedimento – nelle determinazioni del presidente della Regione relative all’istituzione delle zone rosse provinciali e/o alla chiusura delle istituzioni scolastiche a livello provinciale. Appare pertanto riduttivo, oltre che errato, come più volte affermato nelle memorie difensive affermare una mera valenza statistica/informativa dei dati aggregati presenti sulla piattaforma sulla Piattaforma integrata di sorveglianza Covid-19”.
Intanto, dopo la trasmissione del fascicolo da Trapani, sono stati revocati i domiciliari ai tre indagati e imposta solo la sospensione per anno dal servizio per la dirigente dell’assessorato alla Salute Maria Letizia Di Liberti e per il funzionario Salvatore Cusimano. Resta indagato per falso anche l’assessore Eugenio Razza.
Per il Gip, “non appaiono giustificabili le scelte di quotidiani aggiustamenti dei dati aggregati da parte degli odierni indagati, raccolti ed elaborati con tecniche e modalità rudimentali, che non consentivano il rispetto del parametro della correttezza e della qualità del dato, finendo per dar luogo a dati infedeli. E, infatti, emerge chiaramente dalle intercettazioni – prosegue il Gip- che molti dati non venivano trasmessi quotidianamente e finivano, per un tempo indeterminato, in una ‘zona grigia’ da cui attingere per effettuare scostamenti al rialzo o al ribasso, finendo per falsare il dato”.
Dalle indagini dunque viene fuori che “analizzando le caratteristiche di tali falsificazioni, dalle intercettazioni è agevole notare che tendenzialmente esse venivano effettuate in modo da far risultare – è scritto nell’ordinanza – un numero di tamponi superiore rispetto a quello reale, cercando di garantire una proporzione bassa del numero dei positivi in rapporto ai tamponi effettuati”. Un quadro che il gip definisce grave.