Covid a Ribera, “l’impennata dei contagi in pochi giorni rende impossibile il tracciamento”. Situazione fuori controllo
RIBERA. Il quadro epidemiologico nel centro crispino è la rappresentazione plastica di una diffusione del Covid-19 che assume la forma di un ventaglio che non sembra porre fine alla sua apertura. I dati sono eloquenti e il grafico rende agevolmente visibile ciò che da un mese accade a Ribera. Il numero dei contagi, ieri a 191, su una popolazione di 19.055 (che in realtà è molto minore di diverse migliaia poiché molti riberesi si trovano fuori per lavoro ma hanno mantenuto la residenza nel luogo natio) fa sbalzare la percentuale di incidenza sul numero degli abitanti che va oltre l’1%. Una percentuale molto alta e che dimostra la capillare diffusione dell’infezione che porta a comprendere come Ribera il numero degli asintomatici sia fortemente ed estesamente presente. Ciò significa che la facilità di contagio è assai elevata. Abbiamo intervistato il medico Nenè Mangiacavallo, specialista in pneumologia, il quale oltre alla sua indiscussa professionalità vanta anche una conoscenza nel settore della gestione della sanità essendo stato commissario straordinario al Giglio di Cefalù, oltre che sottosegretario alla Sanità con il Governo Dini.
La curva epidemiologica a Ribera si innalza in misura esponenziale. Secondo lei qual è la motivazione dal punto di vista medico ?
“Anche se la crescita è lineare e non esponenziale la situazione è pur sempre particolarmente preoccupante. Ho detto più volte, e continuo a ripeterlo, che nulla avviene per caso. Quello che si verifica a Ribera ed in molti altri comuni della Sicilia non è frutto di circostanze sfavorevoli, come qualcuno si ostina a sostenere, ma deriva da motivazioni scientificamente supportabili e facilmente identificabili, nonché dai comportamenti individuali. Il virus non viaggia nell’aria come il pulviscolo o come i pollini; viene veicolato da goccioline più o meno aerosolizzate che esauriscono la loro funzione di trasporto in uno spazio definito ed in un tempo limitato. Se le goccioline,e di conseguenza il virus, non incontrano qualcuno sul proprio breve cammino, il contagio non può avvenire, anche se, in verità potrebbero permanere per qualche minuto su qualche superficie come maniglie, pulsanti, tavoli, penne, posate, etc. Quel che voglio dire è facile intuirlo. Se evitiamo i contatti, se manteniamo le distanze regolamentari, se indossiamo la mascherina, se igienizziamo le superfici e se ci laviamo le mani diventa estremamente difficile il contagio. E’, invece, estremamente facile, oltre che utile, osservare le indicazioni suddette. Altra rilevante motivazione è quella legata alla presenza, ormai prevalente, della variante inglese che, come è noto, presenta un indice di diffusibilità molto elevato”.
Gli attuali 191 contagiati su una popolazione di 19.055 abitanti rappresentano una cifra che desta allarme. Secondo lei le misure previste con l’ordinanza di istituzione della zona rossa sono sufficienti a rallentare i contagi?
“La risposta a questa domanda più che dargliela io, gliela danno i numeri. 191 positivi, 11 decessi, 10 ricoverati, centinaia di persone costrette alla quarantena e l’andamento della curva di crescita dei contagi dimostrano concretamente che le misure o non sono sufficienti o, cosa più probabile, non vengono rispettate. I numeri e le percentuali reali sono più pesanti rispetto a quelli da lei citati perché la popolazione attualmente residente a Ribera non è quella indicata dall’ISTAT, perchè di fatto risiedono a Ribera meno di 15.000 persone, il che rende ancora più elevata la percentuale di diffusione. L’allarme non deriva soltanto dal numero assoluto di positivi (191), ma dall’andamento progressivo della curva dei contagi che si è impennata nell’arco di pochi giorni, rendendo impossibile, fra l’altro, ogni ipotesi di tracciamento. Appena un mese fa i positivi erano poco più di 20, con una situazione apparentemente gestibile e migliorabile con l’adozione di alcune adeguate misure restrittive, se rispettate. Nell’arco di un mese è successo il caos, con una crescita non più controllata e con l’insorgenza di focolai multipli che si sono allargati a macchia d’olio, talora per contiguità. Il perdurare di questa preoccupante situazione dovrebbe indurre ad assumere decisioni che potrebbero apparire impopolari, anche se non lo sono, indispensabili e non più rinviabili se si vuole arrestare un fenomeno che rischia di diventare insostenibile. Chiedere sacrifici, limitati nel tempo, per tutelare la salute pubblica non è mai impopolare, è un dovere al quale non ci si può sottrarre, indipendentemente dai giudizi che può generare. Mi permetto di esprimere una opinione personale circa la denominazione cromatica delle varie zone. Quella che viene denominata “rossa” è per me più facilmente identificabile come “zona rosa”, perché autorizzare gruppi di due persone, sia pure una volta al giorno, a far visita a parenti o amici, significa permettere a tutti di potere circolare legalmente e, quindi, alimentare contatti che possono diventare contagi. Se questo può essere condivisibile in condizioni di pieno controllo della pandemia, diventa inaccettabile in situazioni di obiettivo allarme come quello che stiamo vivendo”.
La curva epidemiologica non rallenta, anzi si impenna. Pensa che essa possa risentire ancora di comportamenti irresponsabili da parte di chi sottovaluta la gravità della situazione riberese ?
“Quello che si sta verificando a Ribera mi ricorda un vecchio motivo di una canzone di Cocciante che diceva “era già tutto previsto”. Già qualche tempo fa era facilmente immaginabile che la situazione sarebbe peggiorata. Era immaginabile quando il pomeriggio di domenica 28 febbraio a Seccagrande c’era una folla oceanica (molto di più di isolati assembramenti). Era immaginabile l’8 marzo, quando per onorare la Giornata della Donna, si sono svolte riunioni gastronomiche con la presenza di numerose commensali. Era immaginabile in occasione di feste di compleanno, di onomastico, di laurea, di fidanzamento e chi più ne ha più ne metta. Era immaginabile quasi tutte le sere, guardando le piazze frequentate dai giovani che, numerosi, davano seguito alla loro giusta esigenza di socialità. Era immaginabile guardando i marciapiedi del centro città dove molteplici gruppi rispettavano la buona usanza della passeggiata distensiva, che spesso non permetteva, per motivi di spazio, di rispettare il distanziamento. E preferisco non aggiungere altro”.
Sono aumentati i ricoveri in terapia Intensiva, oltre che in degenza ordinaria. 15 soggetti in Terapia Intensiva , di cui 8 ad Agrigento e 7 a Sciacca. Cifre che pesano sullo stress ospedaliero in rianimazione, ma anche il segno che l’infezione si manifesta nella forma più grave.
“Fortunatamente rispetto ai quadri dello scorso anno, in cui la malattia ci aveva colto di sorpresa e le terapie erano frutto di improvvisazione, attualmente i quadri nosologici sono generalmente meno gravi, anche se in una certa percentuale di casi richiedono il ricovero in Rianimazione e talora portano a decesso. E’ evidente che con l’aumentare dei positivi aumenta anche il numero dei ricoveri nei reparti di degenza ordinaria ed anche nelle Terapie Intensive. Ma la malattia da coronavirus non va valutata solo per il numero di ricoveri ospedalieri. C’è una realtà di gran lunga più numerosa e parimente delicata che riguarda i molti malati che vengono curati a domicilio, con adeguati presidi farmacologici e, a volte, con l’ossigenoterapia. Ciò è possibile per le migliorate conoscenze mediche, per l’impegno dei Medici di Famiglia e per la fondamentale dedizione dei Colleghi delle USCA. Senza tutto questo altro che stress ospedaliero! Non sarebbero stati sufficienti nemmeno altri 10 nuovi ospedali nella zona per accogliere i malati”.
Filippo Cardinale