Inchiesta corruzione sanità regionale: intercettazioni clamorose (video)
«Una volta che poi l’hai vinta non ci vediamo più e mi mandi a dire Roberto ‘mi inizia a mandare i soldi così mi tappi la bocca mi compri con i soldi facendomi vedere che rispetti gli impegni, Salvo fammi dire però che è scontato che è il cinque netti dei contratti…».
Parlavano così gli indagati intercettati dalla Guardia di Finanza che hanno ricostruito il tariffario da rispettare negli appalti della Sanità siciliana che sarebbero stati pilotati: il 5% del valore della commessa aggiudicata. Il quadro che emerge dalle intercettazioni dell’inchiesta è desolante. «All’assistenza tecnica mi busco io personalmente quindici mila euro al mese… io per nove anni m’incasso quindici mila euro senza fare un’emerita m…». E ancora: «Quando abbiamo cambiato la busta e loro fatto il ribasso lo sapevano».
Secondo gli inquirenti le aziende che vincevano le gare, tra loro importanti società di livello nazionale, erano consapevoli che avrebbero dovuto pagare delle tangenti secondo uno schema collaudato. L’imprenditore interessato all’appalto avvicina il faccendiere, interfaccia del pubblico ufficiale corrotto. Il faccendiere, d’intesa con il pubblico ufficiale, concorda con l’impresa le strategie per favorire l’aggiudicazione della gara. La società, ricevute notizie riservate, presenta la propria “offerta guidata», che sarà poi adeguatamente seguita fino all’ottenimento del «risultato».
Grazie al pagamento delle «mazzette» le aziende potevano contare sull’attribuzione di punteggi discrezionali, che non riflettevano il merito del progetto presentato; la sostituzione delle buste contenenti le offerte economiche; il pagamento di stati avanzamenti lavoro anche in mancanza della documentazione giustificativa necessaria e la diffusione di informazioni riservate, coperte da segreto di ufficio.
I pagamenti delle tangenti in alcuni casi avvenivano con la classica consegna di denaro contante, ma molto più spesso venivano invece mimetizzati attraverso complesse operazioni contabili instaurate tra le società aggiudicatarie dell’appalto e una galassia di altre imprese, intestate a prestanome, ma di fatto riconducibili ai faccendieri di riferimento per i pubblici ufficiali corrotti. Per rendere ancora più complessa l’individuazione del «sistema», gli indagati si erano spinti fino alla creazione di trust fraudolenti, con l’obiettivo di schermare la reale riconducibilità delle società utilizzate.