SEQUESTRO “FEUDO ARANCIO”, L’OMBRA DEL SUPERLATITANTE MATTEO MESSINA DENARO E LEO SUTERA
Ci sarebbe l’ombra del superlatitante Matteo Messina Denaro a indurre gli inquirenti al maxi sequestro di beni, eseguito dalla Guardia di Finanza nelle province di Trento, Agrigento e Ragusa.
Un maxi sequestro con sigilli a vigneti e fabbricati, del valore di oltre 70 milioni di euro, della cantina siciliana Feudo Arancio. Tenuta di proprietà di uno dei più grandi gruppi vitivinicoli in Italia. Il maxi sequestro è il culmine di un’indagine avviata un anno fa e che adesso ipotizza una massiccia operazione di riciclaggio di beni appartenenti a Cosa Nostra.
Quattro le persone indagate. Fra loro i rappresentanti legali del gruppo vitivinicolo trentino Mezzacorona, che ha aziende sparse anche in Sicilia e, in particolare, nelle province di Agrigento e Ragusa. Il sequestro preventivo è stato disposto dal Gip del Tribunale di Trento Marco La Ganga, su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia. L’indagine e la richiesta del provvedimento cautelare, sottolineano gli inquirenti, si è sviluppata in stretto coordinamento con la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, al termine di indagini in materia di infiltrazione della criminalità organizzata di stampo mafioso nell’economia trentina.
BENI REQUISITI. I sigilli sono scattati per un complesso aziendale che si estende nelle province di Agrigento e Ragusa con oltre 900 ettari di vigneti e numerosi fabbricati. Le abitazioni degli indagati sono state perquisite e dall’esame degli atti trovati e sequestrati si attendono ulteriori sviluppi investigativi.
COSA SCRIVE IL GIP LA GANGA. “I vertici di Mezzacorona hanno erogato ingenti somme all’organizzazione criminale Cosa Nostra nell’ambito di una spregiudicata operazione commerciale, pur nella consapevolezza del comportamento di riciclaggio che stavano ponendo in essere, attesa la provenienza mafiosa dei beni e la necessità di attendere l’autorizzazione alla vendita del capomafia detenuto in carcere, soltanto perché allettati dalla possibilità di ottenere i terreni e gli edifici di pertinenzialità che avevano individuato come funzionali ai progetti di sviluppo del gruppo”.
LA RICOSTRUZIONE DEGLI INQUIRENTI. I beni sequestrati sarebbero stati messi in vendita da alcuni prestanome dopo la morte dei precedenti proprietari, i cugini di Salemi Nino e Ignazio Salvo (quest’ultimo assassinato nel settembre del 1992), esattori e ritenuti uomini d’onore del mandamento mafioso di Mazara del Vallo. Secondo gli investigatori, il quadro indiziario raccolto ha permesso di delineare “gravi indizi di responsabilità anche a carico di soggetti del gruppo trentino che, con due operazioni contrattuali collegate tra loro, hanno acquisito beni immobili in Sicilia, inizialmente di proprietà di Ignazio e Nino Salvo, uomini d’onore della famiglia di Salemi, pervenuti ai venditori attraverso il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso”.
L’OMBRA DI MATTEO MESSINA DENARO. Terreni ed edifici, dopo la morte dei due cugini, sarebbero stati di fatto gestiti da altri due uomini di Cosa Nostra, “previa autorizzazione di un boss latitante”, scrivono i finanzieri. Per gli investigatori, il collegamento porterebbe a Matteo Messina Denaro. Questo perché, una decina di anni fa, quando le attenzioni degli investigatori, per la prima volta, si sono concentrate sulle attività del Feudo Arancio, inizialmente per un’indagine delle Fiamme Gialle relativa a un finanziamento di 4 milioni di euro dell’Unione europea, uno dei principali indagati era un professionista che lavorava anche per Giuseppe Grigoli, l’ex re dei supermercati, condannato con l’accusa di aver fatto da prestanome al boss latitante di Castelvetrano.
LE INDAGINI. Si sono sviluppate attraverso ricostruzioni societarie, esami documentali, accertamenti bancari, acquisizioni informative e testimonianze di numerosi collaboratori di giustizia che hanno scavato a fondo pure in quel contesto. Sarebbe stato appurato che, tra il 2000 e il 2005, sarebbe stata effettuata un’operazione commerciale, attraverso la quale sono state acquisite da parte del gruppo vitivinicolo trentino Mezzacorona le due tenute siciliane dalla precedente proprietà mafiosa per ottenere i terreni e gli edifici pertinenziali individuati come funzionali ai progetti di sviluppo del gruppo. I beni, a quanto risultato dalle indagini, erano inizialmente di proprietà di “uomini d’onore” della famiglia di Salemi, per essere poi ceduti in gestione a prestanome, pur rimanendo – dicono gli investigatori – all’allora capo mandamento di Sambuca di Sicilia Leo Sutera. Anche questo collegamento porta dritto a Matteo Messina Denaro di cui Sutera, detto “‘u prufissuri”, in quanto insegnante di educazione fisica, è stato uno degli ultimi fedelissimi, tanto che, in occasione del suo penultimo arresto, il 26 giugno del 2012, l’allora procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Teresa Principato, polemizzò con la scelta dei vertici dell’ufficio di arrestarlo, nell’ambito della maxi operazione «Nuova Cupola», di cui era il personaggio chiave, perché – secondo la versione del magistrato – seguendolo in incognito si sarebbe arrivati dritti al covo del superlatitante con cui sarebbe stato in diretto contatto.
IL GRUPPO MEZZACORONA RESPINGE LE ACCUSE. Il Gruppo “respinge con forza gli addebiti e ribadisce la totale estraneità a collegamenti e attività mafiose in Sicilia. Il gruppo Mezzacorona ha sempre agito correttamente e seriamente nel proprio impegno imprenditoriale a tutela dei propri soci, azionisti e collaboratori e ha la certezza di poter dimostrare la propria totale estraneità rispetto ai fatti contestati”. Il Gruppo chiede “con la massima sollecitudine all’autorità giudiziaria che sia fatta nel più breve tempo possibile chiarezza sulla vicenda a servizio e a tutela del reddito e del lavoro dei propri 1.600 soci, dei 480 azionisti e dei 500 collaboratori”.
Filippo Cardinale