CONDANNA LOREFICE: “SE IL PROCESSO D’APPELLO FOSSE AVVENUTO OGGI NON CI SAREBBE STATA CONDANNA”

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Riceviamo e pubblichiamo una lunga nota di Sofia Lorefice a chiarimento di un aspetto giuridico-processuale che riguarda Giorgio Lorefice. 

Vi scrivo a seguito della pubblicazione, in data 10 luglio 2019, sul sito della vostra testata giornalistica “Corriere di Sciacca” di un articolo dal titolo “Rigettata istanza di revisione processo Lorefice” (https://www.corrieredisciacca.it/rigettata-istanza-revisione-processo-lorefice/)

Nel chiedervi di rettificare faccio appello all’art. 8 della legge 47/1948 nonché all’art. 2 dalla legge costitutiva dell’ordine dei giornalisti 69/1963 che vi obbliga ‘inderogabilmente al rispetto della verità sostanziale dei fatti’, verità che nel caso dell’articolo succitato credo sia venuta meno. E anche all’art. 3 della Carta di Milano che dovrebbe rappresentare per i giornalisti che si occupano di cronaca giudiziaria un ineliminabile riferimento deontologico.

Rispetto al criterio della veridicità dell’informazione, che rappresenta uno dei tre limiti giuridicamente riconosciuti al diritto di cronaca, credo che il vostro articolo sia venuto meno nei 3 punti seguenti:

1) La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che ha condannato l’Italia per aver inflitto a mio padre un ingiusto processo, non si è affatto espressa su un mero ‘aspetto di natura formale’, come da voi erroneamente riportato, ma sul diritto a ricevere un processo equo, ovvero un diritto umano riconosciuto e tutelato dalla Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo all’articolo 6 che è stato incontestabilmente leso nel caso di mio padre.

La gravità dell’errore che l’Italia ha commesso nel processo contro Giorgio Lorefice è tale per cui egli è stato scarcerato, sebbene stesse scontando una pena definitiva, prima che il processo di Revisione iniziasse. In Italia una cosa del genere non avviene e non può avvenire per un ‘mero errore formale’.

Come si legge nella sentenza CEDU LOREFICE c. ITALIA, che si trova pubblicamente disponibile sul sito del Ministero della Giustizia dal luglio 2017 (https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid=n5RgLNtPZQPGKkgS944f3TLB?facetNode_1=1_2(2017)&facetNode_2=1_2(201706)&facetNode_3=1_2(20170629)&facetNode_4=0_8_1_11&contentId=SDU36631&previsiousPage=mg_1_20), la ragione per cui mio padre ha avuto diritto alla riapertura del processo è che, secondo la Corte di Strasburgo, la Corte di Appello di Palermo nel 2012 lo ha condannato sulla base di testimonianze che in primo grado erano state ritenute inattendibili ed imprecise (nonché, addirittura, false, con trasmissione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 207 comma 2 c.p.p.) senza che nemmeno i testimoni venissero riascoltati.

Questo principio tutelato dalla Corte di Strasburgo è diventato legge in Italia nello stesso anno della pubblicazione della sentenza CEDU che ha dato ragione a mio padre, ovvero quando la riforma della giustizia Orlando (L. 103/2017) ha modificato l’art. 603 cpp al comma 3 bis in modo che oggi il giudice di secondo grado è tenuto obbligatoriamente a rinnovare l’istruzione dibattimentale in caso di Appello del Pm contro una sentenza di proscioglimento. 

Insomma se il processo di Appello di mio padre fosse avvenuto oggi e non nel 2012, nessun giudice avrebbe avuto la facoltà di condannarlo senza riascoltare i testimoni che lo accusavano e che erano stati considerati inattendibili dai giudici del processo di primo grado. 

Purtroppo però la legge non è retroattiva e pertanto la sentenza di Palermo continua ad essere operativa a danno di mio padre.

Da quanto sopra esposto deriva che ciò che ha permesso a mio padre di avanzare l’istanza di Revisione del processo non è affatto un mero ‘aspetto di natura formale’, come da voi sostenuto, ma una sostanziale lesione del diritto a essere sottoposto a un equo processo da parte di un cittadino italiano ed europeo.

Segnalo inoltre che i giudici di Caltanissetta che un mese fa hanno rigettato l’istanza di revisione proposta da mio padre a seguito della sentenza Europea, avranno avuto sicuramente delle motivazioni, che però per il momento nessuno conosce, visto che la sentenza non è stata ancora pubblicata. Pertanto risulta difficile comprendere come abbiate fatto voi ad affermare che l’errore in questione sia stato un mero ‘aspetto di natura formale’, sulla base delle informazioni attualmente disponibili.

2) Faccio presente qui un altro errore del vostro articolo riguardo al fatto che a Caltanissetta si sarebbe svolto un ‘lungo processo dibattimentale in cui  sono stati sentiti tutti i testimoni e le persone offese’.

Non è così.

Di fatto a Caltanissetta sono stati riascoltati solo 5 dei numerosi testimoni che erano stati ascoltati durante la fase dibattimentale che ha avuto luogo, nella sua interezza, soltanto durante il processo di primo grado che si è concluso a Sciacca nel 2009 con l’assoluzione a formula piena di Giorgio Lorefice. 

A Caltanissetta sono stati ascoltati soltanto 5  testimoni in 5 udienze (oltre due rinvii), ovvero quelli che la sentenza del Tribunale di Sciacca aveva ritenuto non attendibili. 

Due di questi cinque testimoni che sono intervenuti a Caltanissetta coincidono con le persone offese, le quali non sono state ascoltate in quanto ‘persone offese’ ma, lo ribadisco perché importante, in quanto testimoni che accusano Giorgio Lorefice e che sono stati ritenuti non attendibili dai giudici di primo grado, al punto che il Tribunale di Sciacca aveva trasmesso gli atti delle loro dichiarazioni alla Procura affinché si aprisse un procedimento per appurare la falsità delle loro testimonianze, ma questo procedimento, inspiegabilmente, non ha mai avuto corso.

3) Infine faccio presente che, secondo la giurisprudenza, il criterio della veridicità della notizia divulgata vuole, quale suo necessario corollario, quello della temporaneità: la verità dell’informazione viene infatti valutata avuto riguardo e con riferimento al momento in cui le notizie sono state divulgate.

A questo proposito denuncio la vostra scelta di pubblicare sulla vostra testata online la notizia a un mese di distanza dal pronunciamento della Corte di Caltanissetta avvenuto in data 11 giugno 2019, nonché prima della pubblicazione della sentenza per cui ancora manca il fatto più rilevante e notiziabile, ovvero le ragioni per le quali l’istanza di mio padre è stata rigettata. 

Segnalo inoltre che anche il criterio della pertinenza è caratterizzato a sua volta da una propria temporaneità: laddove una ritardata diffusione delle informazioni rischia di privare la notizia della sua rilevanza sociale. In questo caso specifico reputo che la divulgazione di notizie passate da un mese su una testata giornalistica online non possa certamente essere qualificata come pertinente, atteso che l’interesse pubblico alla conoscenza di un dato di fatto è legato all’attualità dello stesso.

La vostra scelta della tempistica è quasi inspiegabile, ma non priva di conseguenze, infatti in questo modo avete dato, più o meno consapevolmente, la possibilità a chi ha piacere di infierire ulteriormente sui social e sul web contro la reputazione di mio padre, di farlo. 

Avete la responsabilità di aver diffuso informazioni imprecise nonché errate, mentre il diretto interessato è impossibilitato a difendersi perché attualmente in galera dove sta scontando, con tutta la dignità di cui ha già dimostrato di essere capace, gli ultimi mesi di una pena che gli è stata inflitta per un reato che lui continua a sostenere, fermamente, di non aver commesso.

Vi chiedo dunque di voler provvedere, ai sensi dell’art. 8 Legge 47/1948, alla rettifica di quanto riportato nel citato articolo nella collocazione prevista dalla legge e con risalto analogo a quello riservato al brano giornalistico cui la rettifica si riferisce, nonché a dare conto del vostro operato agli organismi garanti della deontologia giornalistica circa i criteri con i quali scegliete le fonti, i tempi e le modalità di pubblicazione delle notizie di carattere giudiziario.

Sofia Lorefice

 

Gentile Sofia Lorefice, il nostro articolo, cui lei si riferisce, è il frutto della sentenza sella prima Sezione Penale della Corte di Appello di Caltanissetta, composta dal dottor Letterio Aloisi, presidente, dottor Giovanbattista Tona, consigliere, dottor Salvatore Faro Fausone, consigliere, emessa in Caltanissetta l’11 giugno 2019. F.C.