45 anni fa la mafia uccideva il democristiano e presidente della Regione Piersanti Mattarella, simbolo di legalità. Ora la verità è più vicina
Era il 6 gennaio del 1980 di 45 anni fa quando, in via Libertà davanti la sua abitazione, Piersanti Mattarella, alla guida della propria Fiat 132, stava per recarsi a messa insieme alla moglie Irma Chiazzese. Un sicario si avvicinò all’automobile e uccise il presidente della Regione
PALERMO- Gli sparò colpi di rivoltella calibro che raggiunsero il presidente della Regione, il democristiano Piersanti Mattarella, il presidente buono che voleva trasparenza e legalità nell’apparato regionale. L’agguato segnò la fine di un percorso di rinnovamento portato avanti da uno dei più illuminati
esponenti della Dc in un’epoca in cui la Sicilia era oppressa da un sistema politico-affaristico-mafioso
pronto a sopprimere con la violenza ogni tentativo di cambiamento. Stamattina si è svolta la celebrazione in sua memoria. Nell’auto guidata da Piersanti c’era a fianco la moglie Irma Chiazzese, sedute dietro la suocera Franca e la figlia Maria. Presenti alla deposizione della corona d’alloro, il figlio Bernardo e i nipoti dell’ex presidente della Regione, il prefetto di Palermo Massimo Mariani, l’assessore regionale Francesco Paolo Scarpinato, il vicesindaco Giampiero Cannella, il presidente della commissione antimafia dell’Ars Antonello Cracolici, i magistrati Lia Sava procuratrice generale presso la corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca presidente della Corte d’appello, Claudia Caramanna procuratrice per i minorenni, Mario Fragale segretario generale della Città Metropolitana e l’ex sindaco del capoluogo siciliano, Leoluca Orlando che con Mattarella ha fatto i suoi primi passi in politica. Presenti rappresentanti delle forze dell’ordine.
“Piersanti Mattarella è stato fedele uomo delle istituzioni e oggi, a 45 anni dal tragico attentato, ricordiamo il suo sacrificio e il suo esempio che è rimasto unico nella storia di questa terra – ha detto il sindaco di Palermo Roberto Lagalla-. Nella sua esperienza politica Mattarella ha non solo dato una spinta riformatrice e innovativa all’azione amministrativa, ma ha anche alzato un muro contro ogni forma di illegalità e ingerenza mafiosa. L’auspicio è che i risvolti degli ultimi giorni sulle indagini dell’assassinio di Mattarella, condotte dalla Procura di Palermo, rappresentino un decisivo cambio di passo nella ricerca della verità su questo omicidio di matrice mafiosa. Quella verità richiesta, in questi anni, a gran voce dalla famiglia Mattarella e da tutti i siciliani onesti”.
Il presidente che voleva l’apparato regionale trasparente e improntato sulla legalità
Piersanti Mattarella, con la sua azione riformatrice, perseguiva un’idea di Regione ancorata alla trasparenza a alla legalità, sull’efficienza e sul rispetto delle istituzioni. “Oggi ricordiamo non solo il suo sacrificio, ma anche il suo straordinario esempio, che continua a guidare il nostro impegno quotidiano per una Sicilia libera dalla mafia e dalle ingiustizie”, ha dichiarato il presidente della Regione Renato Schifani. «Accogliamo con speranza e fiducia – prosegue Schifani – la nuova indagine avviata dalla Procura di Palermo per fare finalmente piena luce sugli esecutori materiali del suo barbaro assassinio. È un passo necessario per restituire verità e giustizia, non solo alla memoria di Mattarella e ai suoi familiari, ma a tutti i siciliani che credono in un futuro di legalità e progresso. Nel suo ricordo ribadiamo con forza il nostro impegno per costruire una Sicilia migliore, nel solco dei valori che egli ha incarnato”.
Sapremo la verità grazie ai pm
Dopo 45 anni, la svolta impressa dalla Procura di Palermo nelle indagini sugli esecutori materiali dell’omicidio di Piersanti Mattarella segna un cambio di passo e risponde all’auspicio espresso da tempo dai familiari dell’ex presidente della Regione di «pervenire ad una verità completa sulle dinamiche che portarono alla sua morte”. Già due anni fa i parenti dell’esponente democristiano assassinato dal Cosa Nostra avevano espresso la speranza che la riapertura delle indagini potesse apportare un contributo concreto verso la scoperta della verità e l’iscrizione nel registro degli indagati dei killer di mafia Nino Madonia e Giuseppe Lucchese (il primo indicato come colui che sparò, l’altro come l’autista del commando) sembra rappresentare un nuovo importante passaggio nell’inchiesta coordinata dal procuratore Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella.
Il nome di Nino Madonia – in carcere da anni per via di diversi ergastoli, così come Lucchese – come
possibile killer del presidente che immaginava una Sicilia con le carte in regola circolava da anni e, al
di là delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, lo aveva fatto apertamente l’avvocato Fabio
Repici al processo per l’omicidio dell’agente Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio, uccisi il 5
agosto del 1989. Il legale dei familiari del poliziotto assassinato aveva indicato nel boss di San
Lorenzo Nino Madonia il presunto killer di Piersanti Mattarella. «Nino Madonia, killer di Nino Agostino
e di sua moglie, è anche il killer di Piersanti Mattarella. Un delitto per il quale non è mai stato
processato – aveva affermato Fabio Repici -. Non è certo una mia conclusione, semmai quella dei
giudici della Corte d’assise di appello che nel 1998 assolsero Giusva Fioravanti e Gilberto Cavallini
dall’omicidio Mattarella. Nelle motivazioni della sentenza si parla delle schede antropometriche di
Madonia e Fioravanti che vennero valutate dai giudici, i due si somigliano molto, ma il vero sicario è
Madonia e non il neofascista». E proprio la somiglianza tra i due è al centro degli sviluppi degli
accertamenti investigativi, che hanno fatto emergere nuovi dettagli sull’agguato del 6 febbraio del
1980 in via Libertà, dove furono usate due pistole. La prima si inceppò dopo avere esploso quattro
colpi e il killer corse a prenderne un’altra nell’auto d’appoggio.
Sull’omicidio di Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale presidente della Repubblica, Sergio, le indagini e i processi si sono fermati al livello dei mandanti all’interno di Cosa nostra ma la ricerca dei magistrati non si è fermata e l’inchiesta della Dda palermitana adesso ha portato a nuovi risultati. Le prima condanne per il delitto Mattarella arrivarono circa 15 anni dopo l’agguato, con gli ergastoli inflitti a Totò Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Pippo Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci, accusati di
essere i mandanti. Dal processo emerse come Mattarella voleva portare avanti un’opera di modernizzazione dell’amministrazione regionale e per questo aveva iniziato a contrastare Vito
Ciancimino, referente politico del clan dei corleonesi. Ma il suo progetto politico e il sogno di una
Regione con le carte in regola vennero fermati per sempre a colpi di pistola quel 6 gennaio di 45 anni fa.